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Una nuova prospettiva terapeutica per i tumori del colon-retto: quando la chemioterapia “addestra” il sistema immunitario

Un team di ricercatori dell’IFOM, dell’Università di Torino e dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, l’Ospedale San Raffaele e l’Istituto di Candiolo, ha individuato una strategia innovativa per rendere i tumori del colon-retto sensibili all’immunoterapia, combinando due chemioterapici specifici. La scoperta, resa possibile grazie al sostegno dell’European Research Council (ERC) e della Fondazione AIRC, è stata pubblicata sull’autorevole rivista scientifica Cancer Cell e apre nuove possibilità terapeutiche per il tumore al colon-retto.

Il problema che affligge, ancora oggi, migliaia di pazienti oncologici è rappresentato dalla mancanza di terapie efficaci sebbene enormi passi avanti siano stati fatti. L’immunoterapia rappresenta una vera rivoluzione in oncologia negli ultimi 15 anni, incrementando le possibilità di cura per pazienti con melanoma, tumore del rene e alcune forme di cancro al polmone. Tuttavia, quando si tratta di tumore del colon-retto metastatico, questa terapia innovativa funziona solo in meno del 5% dei pazienti. La ragione sta nelle caratteristiche molecolari specifiche di questo tipo di cancro, che lo rendono praticamente “invisibile” al sistema immunitario.

“Da circa dieci anni nei nostri laboratorio studiamo una categoria di tumori che presentano un sistema di riparazione del DNA difettoso, chiamato mismatch repair”, spiega Alberto Bardelli, Direttore Scientifico di IFOM e Professore Ordinario del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, coordinatore dello studio. “Questi tumori definiti immunoresponsivi – prosegue Giovanni Germano, Ricercatore di IFOM e Professore associato di Istologia all’Università Statale di Milano, che ha coordinato lo studio insieme a Bardelli – sono particolari perché, a causa di questo difetto, accumulano centinaia di mutazioni che creano nuovi antigeni, ovvero molecole che funzionano come ‘bandierine rosse’ per richiamare l’attenzione del sistema immunitario.”

L’obiettivo era quindi trovare un modo per trasformare i tumori “freddi”, che il sistema immunitario non riesce a vedere, in tumori “caldi” che invece può attaccare efficacemente.

“In questa fase sperimentale, grazie al sostegno di Fondazione AIRC, avevamo già scoperto che alcuni farmaci come la temozolomide riescono a far emergere nel tumore le cellule in grado di presentare quelle bandierine rosse, quelle che il sistema immunitario riesce ad attaccare meglio – spiega Bardelli. – Il problema era che questo approccio funzionava solo per una piccola parte dei pazienti: meno del 20% di chi ha un tumore al colon-retto metastatico.”

“Partendo da queste considerazioni, quattro anni fa abbiamo avviato un percorso di studio innovativo. – illustra Pietro Paolo Vitiello, Ricercatore IFOM e Oncologo medico presso l’Università di Torino, primo autore dello studio pubblicato su Cancer Cell – Abbiamo pensato di osservare cosa succede quando esponiamo le cellule tumorali a specifiche combinazioni di chemioterapici.”

La svolta è arrivata studiando la combinazione di due farmaci: la temozolomide, già nota per la sua capacità di selezionare cellule con difetti nel riparo del DNA, e il cisplatino.

“La combinazione di questi due chemioterapici – prosegue Vitiello – riesce a indurre nelle cellule tumorali uno stato adattativo particolare. Per sfuggire all’azione distruttiva dei farmaci, infatti, le cellule riducono la loro capacità di riconoscere e riparare i danni al DNA”.

Il meccanismo di difesa del tumore si trasforma paradossalmente in una vulnerabilità:

“Le cellule trattate con questa combinazione – aggiunge Germano – hanno iniziato ad accumulare un numero elevatissimo di mutazioni, creando così tantissime nuove proteine, situazione simile a quando un batterio o un virus invadono da estranei il nostro organismo. È come se il tumore, nel tentativo di proteggersi dalla chemioterapia, si fosse reso riconoscibile e attaccabile dal sistema immunitario.”

Ma i benefici non si fermano qui: “Grazie ad una collaborazione con l’Ospedale San Raffaele – illustra Vitiello – abbiamo osservato che la combinazione di cisplatino e temozolomide è in grado di modificare anche l’ambiente circostante il tumore, il cosiddetto microambiente tumorale, rendendolo più favorevole all’attivazione della risposta immunitaria contro il cancro”.

La ricerca, sostenuta dall’Advanced Grant “TARGET” erogato dall’European Research Council e da un finanziamento della Fondazione AIRC, non è rimasta confinata ai laboratori: grazie a una collaborazione con il gruppo di Luis Diaz al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, i primi 18 pazienti sono già stati trattati con questo approccio chemioterapico sperimentale.

“Il passaggio dai laboratori ai pazienti ha prodotto i primi risultati incoraggianti. – sottolinea Bardelli – le analisi dei campioni ematici di questi pazienti ci confermano che il trattamento funziona: aumenta effettivamente le mutazioni nelle cellule tumorali. Tuttavia – precisa lo scienziato – è ancora necessario un lavoro di ottimizzazione prima di poter proporre questo nuovo regime terapeutico a un numero maggiore di pazienti.”

Questa scoperta rappresenta un cambio di paradigma significativo: invece di combattere direttamente i meccanismi di resistenza del tumore, i ricercatori hanno imparato a sfruttarli.

“Possiamo pensare – riflette Bardelli – a trattamenti sempre più personalizzati che guidino l’evoluzione delle cellule tumorali verso uno stato che è più facilmente trattabile con le terapie immunologiche a disposizione.”

Il prossimo passo? “sarà di valutare – anticipa Bardelli – altre strategie per rendere i tumori più sensibili all’immunoterapia, agendo sia sulla produzione degli antigeni tumorali che sull’interazione tra sistema immunitario e cancro.”

“Questo lavoro dimostra quanto sia importante accorciare le distanze tra le scoperte biologiche e l’applicazione clinica”, conclude lo scienziato “È un risultato che non sarebbe stato possibile senza il programma IFOM dedicato ai Medici-Ricercatori, di cui Vitiello è stato parte integrante fin dal suo arrivo nel nostro istituto. Un programma che crea figure professionali dalle competenze trasversali e fortemente traslazionali.”

 

APPROFONDIMENTO SCIENTIFICO 

Il ruolo del sistema mismatch repair (MMR). I tumori con alterato sistema di riparo del DNA mismatch repair rappresentano il prototipo dei tumori responsivi all’immunoterapia. Questo perché a causa dell’alterato riparo del DNA, questi tumori accumulano centinaia di mutazioni che portano alla formazione di nuovi antigeni, molecole di derivazione proteica in grado di attirare l’attenzione del sistema immunitario.

Meccanismo molecolare della scoperta L’aggiunta di cisplatino alla temozolomide induce nelle cellule tumorali uno stato in cui il riparo del DNA è depotenziato. I due chemioterapici inducono numerosissime mutazioni al DNA tumorale, spingendo le cellule tumorali a ridurre la capacità di riconoscere e riparare i danni al DNA per sfuggire all’azione dei farmaci. Questo adattamento, che protegge transitoriamente le cellule dall’effetto della chemioterapia, crea però una nuova vulnerabilità sfruttabile terapeuticamente, rendendo i tumori più riconoscibili al sistema immunitario e più sensibili all’immunoterapia.

I due chemioterapici protagonisti

  • Temozolomide: farmaco alchilante che danneggia il DNA delle cellule tumorali introducendo lesioni specifiche. È efficace contro tumori con specifiche caratteristiche molecolari, ed è attualmente utilizzato principalmente nel trattamento di alcuni tumori cerebrali.
  • Cisplatino: composto a base di platino che forma legami crociati con il DNA, impedendo la replicazione cellulare. È uno dei chemioterapici più utilizzati in oncologia per il trattamento di tumori solidi come quelli del testicolo, dell’ovaio, della vescica e del polmone.

Modifiche del microambiente tumorale I tumori sono costituiti sia da cellule tumorali che da cellule dell’organismo che circondano e interagiscono con esse, come quelle del sistema immunitario, che costituiscono il cosiddetto “microambiente tumorale”. La combinazione di cisplatino e temozolomide è in grado di modificare le caratteristiche delle cellule presenti microambiente tumorale, potenziando gli elementi in grado di sostenere l’attivazione immunitaria contro il tumore.

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Una nuova prospettiva terapeutica per i tumori del colon-retto: quando la chemioterapia “addestra” il sistema immunitario. Foto di StockSnap

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

L’IMPATTO DEL TUMORE DEL COLON-RETTO SUL BENESSERE PSICOLOGICO DEI PAZIENTI

Uno studio esplorativo condotto dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria “Città della Salute e della Scienza” di Torino, ha indagato l’impatto del cancro del retto e dei trattamenti medici sul benessere psicologico.

 

Una ricerca condotta dal gruppo di ricerca ReMind the Body” del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino in collaborazione con l’equipe del reparto di Radioterapia Oncologica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “Città della Salute e della Scienza” ha indagato l’impatto del cancro del colon-retto e dei trattamenti medici sul benessere psicologico dei pazienti. ùIn Italia, il tumore del colon-retto è il secondo più frequente dopo quello della mammella. Le ricercatrici Valentina TesioAgata Benfante e Annunziata Romeo, coordinate dal Prof. Lorys Castelli, dell’Università di Torino, hanno seguito per un periodo di circa 18 mesi dalla diagnosi oncologica e dall’inizio dei trattamenti un gruppo di 43 pazienti che avevano da poco ricevuto una diagnosi di cancro del retto localmente avanzato.

Lo studio, durato due anni e culminato in due lavori pubblicati rispettivamente sulle riviste scientifiche internazionali Clinical and Translational Radiation Oncology e Psychological Trauma: Theory, Research, Practice, and Policy, ha analizzato l’impatto della diagnosi e dei successivi trattamenti previsti per questa patologia oncologica non solo sulla qualità della vita e sui livelli di distress psicologico (ossia sintomi ansiosi e depressivi), ma anche sulla crescita post-traumatica (Post-Traumatic Growth – PTG), un cambiamento psicologico positivo nelle priorità e nelle nuove possibilità, nell’apprezzamento della vita, nella dimensione spirituale, nelle relazioni interpersonali e nel senso della vita, conseguente al fronteggiamento di circostanze di vita traumatiche che mettono in discussione le convinzioni personali, come può accadere con una diagnosi di cancro.

Al fine di esplorare quali fattori medico-psicologici possano predire gli esiti connessi al benessere psicologico di questa popolazione oncologica, la ricerca ha seguito i pazienti e le pazienti durante l’intero percorso di cura, che prevedeva la combinazione fra resezione chirurgica e trattamento chemioterapico e radioterapico, rivalutando la condizione medico-psicologica nelle seguenti fasi del trattamento: dopo la prima visita radioterapica, durante la quale venivano comunicate le indicazioni per la (chemio)radioterapia preoperatoria (T0 – diagnosi), almeno 1 mese dopo la fine del trattamento preoperatorio (T1, in media 3 mesi dopo la diagnosi), almeno 1 mese dopo la resezione chirurgica (T2, in media 6 mesi dopo la diagnosi) e al follow-up di almeno 1 anno dopo la resezione chirurgica (T3, in media 18 mesi dopo la diagnosi).

Alla valutazione iniziale i pazienti e le pazienti presentavano lievi sintomi fisici di tipo intestinale e dolorosi, direttamente associabili al tumore del retto localmente avanzato, con livelli moderati di distress psicologico e ansia per la salute probabilmente dovuti al carico emotivo iniziale connesso alla diagnosi di cancro e alla preoccupazione per gli effetti collaterali dei trattamenti preoperatori, in particolare quelli legati alla radioterapia, di cui i pazienti e le pazienti con cancro sono spesso poco consapevoli, come emerge anche dalla letteratura precedente sul tema.

Durante le fasi di trattamento attivo, si è evidenziato un peggioramento della qualità di vita, in particolare dopo l’intervento chirurgico, al quale è seguito un miglioramento nel follow-up a medio termine. L’ansia ha, invece, mostrato una traiettoria molto più fluttuante, con livelli elevati alla diagnosi che diminuiscono dopo il trattamento preoperatorio (solo il 10% presenta sintomi clinicamente rilevanti in questa fase), per aumentare nuovamente dopo l’intervento chirurgico (il 27% presenta sintomi clinicamente rilevanti in questa fase) e, infine, diminuire al follow-up. Inoltre, se da un lato è stata confermata la forte influenza dei sintomi fisici correlati al cancro e degli effetti collaterali dei trattamenti sulla qualità di vita dei pazienti e delle pazienti, particolarmente al momento della diagnosi e durante i trattamenti attivi, d’altra parte è emerso che la reazione psicologica alle prime fasi di diagnosi e trattamento (ossia gli stili di coping adottati per fronteggiare tali eventi stressanti) fosse determinante nel predire la qualità di vita dopo i trattamenti attivi e a medio termine.

Per quanto riguarda la crescita post-traumatica, si è riscontrato un suo aumento progressivo nel tempo, suggerendo che il processo di crescita psicologica si sviluppi gradualmente ma precocemente nei pazienti e nelle pazienti con cancro del retto, per poi mostrare un aumento più significativo tra la valutazione postoperatoria e il follow-up a medio-lungo termine. Inoltre, i livelli di crescita psicologica iniziali, ovvero quelli post trattamento preoperatorio, sono risultati essere il fattore predittivo più forte dei livelli di crescita misurati al follow-up, quasi un anno dopo, seguiti dagli stili di coping adottati nelle fasi iniziali del trattamento. Considerata la scarsità degli studi che hanno valutato longitudinalmente questa popolazione specifica sin dalle prime fasi di malattia/trattamento, questo dato è nuovo e incoraggiante da un punto di vista clinico, suggerendo l’importanza di sostenere e monitorare la reazione psicologica e il processo di crescita psicologica positiva fin dalle fasi iniziali della presa in carico oncologica.

“Questo studio – dichiara la Dott.ssa Agata Benfante – si inserisce in un ambito scientifico ancora poco approfondito e per il quale saranno necessari ulteriori studi longitudinali al fine di implementare interventi psicologici su misura e nei tempi più opportuni. La ricerca ha evidenziato come le diverse fasi del trattamento oncologico mostrino specifiche peculiarità, sia a livello di impatto psico-fisico, sia a livello di risposta psico-fisica del soggetto, che possono avere ripercussioni nel determinarne sul medio-lungo termine la qualità di vita e il benessere psicologico. Risulta pertanto di fondamentale importanza monitorare le risposte psicologiche nei pazienti e nelle pazienti con cancro del retto sin dalla diagnosi e durante le diverse fasi del trattamento, per identificare tempestivamente sintomi di disagio psicologico clinicamente rilevanti, per promuovere risposte adattive al cancro e per sostenere il processo di crescita psicologica”.

“La diagnosi di cancro – ha aggiunto la Ricercatrice Dott.ssa Valentina Tesio – può non solo portare a esiti di salute mentale negativi, come il disagio psicologico clinicamente rilevante, ma può, e deve, anche innescare cambiamenti psicologici positivi, come la crescita post-traumatica, e sono proprio le diverse caratteristiche intrapsichiche dell’individuo a contribuire al suo adattamento alla malattia e ad influenzare gli esiti psicologici. È, quindi, necessaria una valutazione in chiave biopsicosociale, a partire dalla comunicazione della diagnosi, attraverso tutte le fasi successive del processo terapeutico fino al follow-up, poiché ogni fase presenta specificità fisiche e psicologiche. Sulla base di queste specificità, i servizi di supporto dovrebbero essere adattati sia al singolo individuo sia alla fase di trattamento, in particolare attuando interventi preventivi e pre-abilitativi multidisciplinari e multimodali nei momenti più opportuni per migliorare sia le reazioni legate al cancro che la qualità della vita e la salute psicologica nel medio termine”.

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Foto di tahabaz

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Nuove frontiere terapeutiche per il trattamento del glioblastoma: rivelato il meccanismo di riprogrammazione metabolica di una specifica popolazione di neutrofili (CD71+) presenti nel microambiente del tumore cerebrale

Uno studio internazionale, frutto della collaborazione tra la Sapienza e l’Istituto Wistar, rivela il meccanismo di riprogrammazione metabolica di una specifica popolazione di neutrofili presenti nel microambiente del tumore cerebrale. I risultati della ricerca, pubblicati su “Cancer Discovery”, aprono nuove strade per lo sviluppo di strategie terapeutiche più efficaci per il trattamento del glioblastoma.

A oggi il glioblastoma rimane, tra i tumori cerebrali nell’adulto, la forma più aggressiva e maggiormente resistente alle terapie. La scarsa efficacia delle opzioni terapeutiche disponibili è dovuta alle caratteristiche biologiche proprie del microambiente di questo tumore. L’ampia eterogeneità cellulare, la forte ipossia, cioè la carenza di ossigeno, e l’immunosoppressione rendono inefficienti anche gli approcci terapeutici più recenti.

Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale “Cancer Discovery” che ha visto la partecipazione del Dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza, ha svelato il meccanismo con cui i neutrofili esprimenti il recettore per la transferrina (CD71) modificano il loro metabolismo in corrispondenza delle aree tumorali ipossiche. Il cambiamento metabolico di queste cellule potenzia la loro capacità immunosoppressoria, facilitando di conseguenza la progressione del glioblastoma.

In particolare, l’ambiente ipossico induce i neutrofili CD71+ a produrre una maggiore quantità di lattato. Questo metabolita è responsabile della lattilazione degli istoni, proteine che interagiscono con il DNA, e della conseguente produzione di arginasi-1, un enzima che contribuisce a bloccare la risposta dei linfociti T anti-tumorali. Lo studio ha evidenziato che bloccando la lattilazione degli istoni, si riduce la funzione immunosoppressoria dei neutrofili CD71+, rallentando la crescita tumorale.

Questo processo molecolare sembra essere particolarmente rilevante nel sostenere l’immunosoppressione nel glioblastoma. Infatti, lo stesso gruppo di ricercatori Sapienza-Wistar aveva descritto in un precedente lavoro che la lattilazione aumenta la capacità soppressoria dei macrofagi GLUT1+, infiltranti il microambiente tumorale.

“Il nostro lavoro – precisa Aurelia Rughetti, coordinatrice del team della Sapienza -sottolinea come la funzionalità delle cellule immunitarie infiltranti il tumore sia finemente regolata a livello epigenetico dalla lattilazione degli istoni. Interferire con questo processo molecolare, che interessa sia i neutrofili CD71+ che i macrofagi GLUT1+, può tradursi in una efficace strategia terapeutica per ridurre l’immunosoppressione, contrastare i meccanismi di resistenza del tumore e potenziare l’efficacia della target therapy e dell’immunoterapia.”

Al progetto hanno partecipato Alessio Ugolini, Fabio Scirocchi e Angelica Pace, alumni del Dottorato di Network Oncology and Precision Medicine, coordinati da Aurelia Rughetti e Marianna Nuti del Dipartimento di Medicina Sperimentale e i clinici Luca D’Angelo e Antonio Santoro della UOC di Neurochirurgia del Policlinico Universitario Umberto I.

Riferimenti bibliografici:

Ugolini A, De Leo A, Yu X, Scirocchi F, Liu X, Peixoto B, Scocozza D, Pace A, Perego M, Gardini A, D’Angelo L, Liu JKC, Etame AB, Rughetti A, Nuti M, Santoro A, Vogelbaum MA, Conejo-Garcia JR, Rodriguez PC, Veglia F. Functional reprogramming of neutrophils within the brain tumor microenvironment by hypoxia-driven histone lactylation, Cancer Discov. 2025 Feb 28, doi: 10.1158/2159-8290.CD-24-1056

Nuove frontiere terapeutiche per il trattamento del glioblastoma: il meccanismo di riprogrammazione metabolica di una specifica popolazione, i neutrofili CD71+ presenti nel microambiente del tumore cerebrale. Immagine di Gerd Altmann 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Tumori: per il 2025 si stima una diminuzione dei tassi di mortalità.
Per il cancro alla mammella è previsto un calo generale, ma un aumento tra le pazienti più anziane

Le previsioni dei decessi per tumori indicano una diminuzione dei tassi di mortalità del 3,5% circa nell’Unione Europea negli uomini e dell’1,2% nelle donne. Un andamento positivo è stimato anche per il tumore della mammella, tranne nelle donne ultraottantenni, probabilmente per mancanza di screening regolari, diagnosi tempestive e utilizzo di terapie innovative. I risultati dello studio, coordinato dall’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’Università di Bologna e sostenuto dalla Fondazione AIRC, sono stati pubblicati sulla rivista “Annals of Oncology”.

Milano, 12 marzo 2025 – Nel 2025 i tassi di mortalità per tumore della mammella dovrebbero diminuire in tutte le fasce d’età nell’Unione Europea (UE), a eccezione delle pazienti ultraottantenni. Per queste ultime si prevede infatti un aumento del 7% circa rispetto ai tassi osservati nel periodo 2015-2019.

Questi risultati provengono da uno studio in cui si sono stimati i tassi di mortalità per tumore nell’UE [1] e nel Regno Unito per il 2025. I risultati dello studio, condotto da ricercatori dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’Università di Bologna, sono stati pubblicati oggi sulla rivista Annals of Oncology [2].

Gli epidemiologi coordinati da Carlo La Vecchia, professore di statistica medica ed epidemiologia all’Università Statale di Milano, ritengono che un motivo per l’aumento dei tassi di mortalità per tumore della mammella tra le pazienti più anziane nell’UE possa essere dovuto alla mancanza di screening regolari e di diagnosi tempestive per le donne ultraottantenni, che hanno anche minore probabilità di ricevere i trattamenti più innovativi.

Le donne anziane non sono incluse nei programmi di screening e probabilmente, rispetto alle donne più giovani, hanno minore giovamento dagli importanti progressi nella diagnosi e nella gestione del tumore della mammella, compresi i miglioramenti nella chemioterapia, nella terapia ormonale e nell’immunoterapia che include il trastuzumab e i farmaci similari, ma anche nella radioterapia e nella chirurgia” ha dichiarato La Vecchia.

L’aumento della prevalenza di sovrappeso e obesità osservato negli ultimi decenni nella maggior parte dell’Europa settentrionale e centrale ha portato a un aumento del rischio di tumore della mammella. Questo fenomeno, però, non è stato controbilanciato da un miglioramento della diagnosi e della gestione della malattia nelle donne anziane e, di conseguenza, potrebbe spiegare l’aumento della mortalità stimato.

Il gruppo di ricercatori prevede una diminuzione dei tassi di mortalità per tumore della mammella a tutte le età pari al 3,6% nell’UE e allo 0,8% in Italia nel 2025 rispetto al 2020. Il tasso di mortalità standardizzato per età è 13,3 per 100.000 donne nell’UE (per un totale di 90.100 decessi) e di 14,0 per 100.000 donne in Italia (per un totale di 13.660 decessi).

Stimiamo che tra il 1989 e il 2025 siano stati evitati 373.000 decessi per tumore della mammella nell’UE. La maggior parte di questi decessi evitati è dovuta al miglioramento della gestione della malattia e all’introduzione di innovazioni terapeutiche, ma il 25-30% è probabilmente attribuibile auna maggiore diffusione della diagnosi precoce e del programma di screeningPoiché oggi il tumore della mammella può essere curato efficacemente grazie ad approcci innovativi, è essenziale che tutte le pazienti alle quali viene diagnosticato vengano indirizzate a centri oncologici in grado di offrire tutte le terapie necessarieInoltre, come indicato dagli andamenti sfavorevoli per le donne ultraottantenni, il controllo del sovrappeso e dell’obesità rimane una priorità, non solo per le malattie cardiovascolari, ma anche per i tumori, compreso il quello della mammella” ha aggiunto il professor La Vecchia.

I ricercatori hanno analizzato, per il quindicesimo anno consecutivo, i tassi di mortalità per tumore nell’UE [3] e nel Regno Unito, esaminando separatamente i tassi di mortalità per tumore dello stomaco, colon-retto, pancreas, polmone, mammella, utero (compresa la cervice), ovaio, prostata e vescica, nonché i tassi di mortalità per leucemie, per entrambi i sessi [4]. Sono stati raccolti i dati di mortalità dai database dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle Nazioni Unite, relativi al periodo 1970-2020. Tali stime si sono dimostrate affidabili nel corso degli anni.

Tutti i tumori:

Nei Paesi dell’UE si prevede un calo del 3,5% circa dei tassi di mortalità per tutti i tumori: si passerà da 125/100.000 nel 2020 a 121/100.000 nel 2025 per gli uomini, e da 80/100.000 a 79/100.000 per le donne. In totale si stima che nel 2025 circa 1.280.000 persone moriranno di tumore nell’UE e circa 176.000 in Italia. In Italia il tasso di mortalità per tutti i tumori diminuirà per gli uomini, passando da 112 nel 2020 a 96/100.000 nel 2025, e per le donne, passando da 75 a 71/100.000.

Secondo le stime dei ricercatori, dal 1988 al 2025 nell’UE si sono evitati 6,8 milioni di decessi per tutti i tipi di tumore (4,7 milioni negli uomini e 2,1 milioni nelle donne), ipotizzando che i tassi di mortalità rimanessero costanti rispetto a quelli del 1988.

Tuttavia, a causa del crescente numero di anziani nella popolazione, il numero di decessi per tumore aumenterà da 671.963 nel 2020 a 709.400 nel 2025 tra gli uomini nell’UE e da 537.866 a 570.500 tra le donne. In Italia, invece, il numero di decessi passerà da 97.866 a 94.740 per gli uomini e da 79.991 a 81.740 per le donne.

Si prevede che i tassi di mortalità per la maggior parte dei tumori diminuiranno quest’anno nell’UE, a eccezione del tumore del pancreas, che mostrerà un aumento del 2% negli uomini e del 3% nelle donne. Per le donne si prevede un aumento del 4% del tumore del polmone e del 2% del tumore della vescica.


In Italia gli unici tassi di mortalità previsti in lieve aumento sono quelli per il tumore del pancreas e della vescica nelle donne. 
I tassi di mortalità per tutti gli altri tipi di tumore sono in calo per entrambi i sessi.

Il fumo rimane di gran lunga la principale causa nota di tumore del pancreas, causando dal 20 al 35% dei casi in varie fasce di età, a seconda delle diverse abitudini di fumo. Il diabete, il sovrappeso che portano allo sviluppo della sindrome metabolica sono responsabili di circa il 5% dei tumori al pancreas in Europa. Questo aspetto sta diventando sempre più importante a causa della crescente prevalenza dell’obesità, ma il controllo e la prevenzione del fumo rimangono la priorità per il controllo anche del tumore del pancreas” ha spiegato la professoressa Eva Negri, docente di epidemiologia ambientale e medicina del lavoro dell’Università di Bologna e co-leader della ricerca.

Il tumore del polmone rappresenta la principale causa di morte per tumore tra gli uomini nell’UE (151.000 casi) e in Italia (19.600 casi). Nel nostro Paese il tumore della mammella è la prima causa di morte per cancro fra le donne italiane (13.660 casi). Anche nell’UE, il tumore della mammella rappresenta la principale causa di morte per tumore tra le donne; tuttavia, si stima che il tasso di mortalità per il tumore del polmone supererà quello della mammella nel 2025. Infatti, l’andamento della mortalità per tumore del polmone è ancora in aumento tra le donne (+3,8% rispetto al 2020).

Conclude Carlo La Vecchia: Gli andamenti di mortalità per tumore continuano a essere favorevoli in tutta Europa. Tuttavia vi sono anche aspetti negativi: uno di questi sono i decessi per tumore del colon-retto nelle persone di età inferiore ai 50 anni, che hanno iniziato ad aumentare nel Regno Unito e in diversi Paesi dell’Europa centrale e settentrionale, a causa dell’aumento della prevalenza del sovrappeso e dell’obesità nei giovani che, per età, non sono coperti dallo screening del tumore colorettale. Inoltre i tassi di mortalità per il tumore del pancreas non sono in diminuzione nell’UE ed è ora la quarta causa di morte per tumore dopo il cancro del polmone, del colon-retto e della mammella. I tassi di mortalità per tumore del polmone stanno iniziando a stabilizzarsi, ma non ancora a diminuire nelle donne dell’UE. Le tendenze del tumore del pancreas e del polmone nelle donne sottolineano l’urgenza di attuare un controllo ancora più rigoroso del tabacco in tutta Europa”.

Il progetto è stato sostenuto dalla Fondazione AIRC; Claudia Santucci e Carlo La Vecchia hanno ricevuto sostegno dall’iniziativa Next Generation EU-MUR PNRR Extended Partnership Inf-Act.

NOTE

[1] Al momento di questa analisi, l’UE contava 27 Stati membri, con l’uscita del Regno Unito nel 2020. Cipro è stato escluso dall’analisi perché non erano disponibili sufficienti dati a lungo termine, necessari per prevedere le tendenze, soprattutto nei piccoli Paesi. Tutti gli altri Paesi avevano dati che risalivano almeno al 1970.

[2] “European cancer mortality predictions for the year 2025 with focus on breast cancer”, by C. Santucci et al. Annals of Oncology, doi: 10.1016/j.annonc.2025.01.014.

[3] I tassi standardizzati per età per 100.000 abitanti riflettono la probabilità annuale di morire aggiustata per riflettere la distribuzione per età di una popolazione.

[4] Il documento contiene tabelle individuali dei tassi di mortalità per tumore per ciascuno dei sei massimi Paesi Europei.

Tumori: per il 2025 si stima una diminuzione dei tassi di mortalità. Foto di Konstantin Kolosov

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano e dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Bologna.

FARMACI ONCOLOGICI: PERCHÉ EUROPA E STATI UNITI D’AMERICA PRENDONO DECISIONI DIVERSE? 

Uno studio dell’Università di Torino evidenzia le discrepanze tra le due principali agenzie regolatorie nell’approvazione dei medicinali per il cancro.

 

L’Università di Torino ha pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Oncology uno studio intitolato Differences in the on-label cancer indications of medicinal products between Europe and the USA, che mette a confronto le decisioni della Food and Drug Administration (FDA) e della European Medicines Agency (EMA) nell’approvazione dei farmaci oncologici.

La sicurezza dei medicinali è garantita da un’attenta analisi dei dati da parte delle Agenzie Regolatorie. Solo dopo la revisione approfondita dei dati derivanti dagli studi clinici, i farmaci possono essere messi a disposizione dei pazienti. Negli Stati Uniti, questa funzione è svolta dalla FDA, mentre in Europa è di competenza dell’EMA. Tuttavia, lo sviluppo di un farmaco è ormai globale e le diverse Agenzie Regolatorie valutano gli stessi studi clinici, sebbene possano arrivare a conclusioni differenti.

“Ci saremmo aspettati che le due agenzie più importanti del mondo, considerando gli stessi dati, arrivassero alle stesse conclusioni” – spiega Gianluca Miglio, professore di farmacologia all’Università di Torino – “ed invece oltre la metà dei farmaci è approvata per popolazioni leggermente diverse. In altre parole, vi sono pazienti dai due lati dell’Atlantico che hanno o non hanno accesso ad un dato medicinale a seconda della zona geografica in cui vivono”.

Nella ricerca sono state analizzate 162 indicazioni terapeutiche di 80 medicinali per tumori solidi e tumori del sangue autorizzate dall’EMA tra gennaio 2015 e settembre 2022 con le corrispondenti indicazioni approvate dalla FDA. Sono state identificate discrepanze clinicamente rilevanti per il 51,9% delle indicazioni valutate. Le differenze riguardano la collocazione nella terapia, la necessità che i pazienti siano refrattari a terapie precedenti, i requisiti di eleggibilità dei biomarcatori, i trattamenti concomitanti o le caratteristiche dei pazienti.

“Il nostro lavoro non è disegnato per definire quali delle due agenzie sia la migliore, sono entrambe eccezionali” – sottolinea Armando Genazzani, anche lui docente dell’Università di Torino, con esperienze sia in EMA che nell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) – “ma evidenziare quanto sia difficile prendere delle decisioni che impattano su milioni di malati in presenza di incertezze. Da un lato le agenzie mirano a concedere l’accesso del farmaco al maggior numero di persone possibile, e dall’altro, invece, devono essere sufficientemente sicure che per tutti i malati per i quali il farmaco è indicato vi è una ragionevole certezza di efficacia e sicurezza. Quello che cambia tra le due agenzie è il diverso bilanciamento tra questi due obiettivi”.

Le differenze osservate sono sottili, e derivano principalmente dalle discrepanze legislative e dalla differente inclinazione a estrapolare i dati in popolazioni non studiate direttamente nei trial clinici. 

“Le ragioni per le differenze osservate sono molteplici così come lo sono le implicazioni” – continua Genazzani – “La nostra analisi sembra suggerire che l’FDA sia più incline ad allargare il bacino dei pazienti che potenzialmente potrebbero beneficiare del farmaco, mentre l’EMA è più conservativa e maggiormente incline a riservare il farmaco ai pazienti per i quali vi è una dimostrazione chiara. Questo vuol dire che i pazienti americani hanno più opportunità terapeutiche mentre i pazienti Europei hanno maggiori certezze sui farmaci che assumono”.

Con questo studio dell’Università di Torino mira a fornire un contributo fondamentale alla comprensione delle dinamiche di approvazione dei farmaci oncologici a livello internazionale, evidenziando il delicato equilibrio tra accesso alle terapie e sicurezza dei pazienti.

Riferimenti bibliografici:

Perini, Martina et al., Differences in the on-label cancer indications of medicinal products between Europe and the USA, The Lancet Oncology, Volume 26, Issue 2, e103 – e110, DOI: https://doi.org/10.1016/S1470-2045(24)00434-0

cancro intelligenza artificiale nuovo metodo CEST-MRI Case report of first woman of color possibly cured of HIV
Farmaci oncologici: perché Europa e Stati Uniti d’America prendono decisioni diverse? Lo studio è stato pubblicato su The Lancet Oncology. Foto di StockSnap

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

La strada dell’immunoterapia per combattere il tumore alla mammella

I risultati di uno studio condotto dal CNR-IEOS e dall’Università Federico II di Napoli hanno individuato nei linfociti T regolatori (Treg) – un particolare tipo di cellule del sistema immunitario – un bersaglio da colpire per consentire al nostro organismo di riattivare la risposta antitumorale e distruggere il carcinoma mammario. I risultati della ricerca, sostenuta da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances.

 

I dati di uno studio svolto congiuntamente da ricercatori dell’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia sperimentale del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-IEOS) e dell’Università Federico II di Napoli aggiungono un importante tassello alla comprensione delle complesse interazioni tra il sistema immunitario e il tumore alla mammellaaprendo la strada allo sviluppo di nuove strategie per la prognosi e la cura di questa patologia.

Il gruppo è stato coordinato da Veronica De Rosa, immunologa del CNR-IEOS, in collaborazione con Francesca di Rella dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale, Antonio Pezone e Irene Cantone, afferenti rispettivamente al Dipartimento di Biologia e al Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche dell’ateneo federiciano. I ricercatori hanno scoperto il ruolo prognostico di un particolare tipo di cellule del sistema immunitario nel carcinoma mammario, noti come linfociti T regolatori (in breve, Treg). Tali cellule sono presenti ad alte concentrazioni sia nei tumori primari sia nel sangue delle donne con una prognosi più sfavorevole, e sono inoltre associate allo sviluppo di microambienti tumorali particolarmente aggressivi. In condizioni normali i linfociti Treg sono deputati al controllo delle risposte immunitarie dell’organismo, mantenendone l’equilibrio; ma in questi tipi di cancro possono essere un bersaglio importante di cura: se eliminate selettivamente, infatti, il carcinoma mammario può essere distrutto in maniera efficace.

I risultati, pubblicati sulla rivista Science Advances, sono emersi nel corso di uno studio iniziato nel 2016 grazie al sostegno ottenuto nell’ambito del bando TRIDEO cofinanziato da Fondazione AIRC per la ricerca su cancro e da Fondazione Cariplo. Spiega Veronica De Rosa (CNR-IEOS):

“I linfociti Treg svolgono un ruolo cruciale nel decorso dei tumori e in particolar modo del carcinoma mammario. Essi, infatti, limitano la risposta immunitaria antitumorale attraverso l’espressione di molecole di superficie inibitorie, note con il nome di checkpoint. Ciò in pratica favorisce la progressione e la successiva metastatizzazione del tumore. Tuttavia, se i linfociti Treg sono bloccati, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, ciò potrebbe permettere al sistema immunitario di riattivarsi per distruggere il tumore. Questo è proprio il principio su cui si basa l’immunoterapia, che molto spesso ha proprio i linfociti Treg quale bersaglio terapeutico”.

La messa a punto di una strategia basata sull’eliminazione delle cellule Treg al fine di indurre o incrementare la risposta immunitaria antitumorale è, tuttavia, particolarmente complessa.

“Numerose sperimentazioni cliniche in corso perseguono questo obiettivo. Tuttavia, i linfociti Treg non sono tutti uguali. Proprio la loro eterogeneità rende difficile identificare marcatori specifici con cui discriminare le Treg presenti nel sangue, importanti per mantenere una corretta funzione immunitaria, da quelle presenti all’interno del tumore e che gli consentono di crescere”, aggiunge la ricercatrice.

“Il nostro gruppo di ricerca ha dimostrato che i tumori primari di donne affette da carcinoma mammario ormono-positivo presentano una maggiore quantità di linfociti Treg che esprimono una variante della proteina FOXP3 (FOXP3E2). Misurando la loro frequenza nel sangue con la tecnica della biopsia liquida, siamo stati in grado di predire la prognosi delle pazienti già al momento della diagnosi”.

Lo studio è stato possibile grazie al contributo di Francesca di Rella, oncologa presso l’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale, e di Antonello Accurso, chirurgo oncologo dell’Università Federico II di Napoli: negli ultimi cinque anni in entrambi i centri sono state arruolate nello studio clinico pazienti con carcinoma mammario in fase precoce, prima che iniziassero la terapia.

Inoltre, l’analisi computazionale di una banca dati nota come The Cancer Genome Atlas (TCGA) su circa mille pazienti è stata condotta da Antonio Pezone, patologo molecolare, e da Irene Cantone, genetista. Le loro analisi hanno confermato che misurando i linfociti Treg che esprimono FOXP3E2 all’interno del tessuto tumorale è possibile anticipare fino a vent’anni sia la prognosi sia le possibili ricadute non solo nelle donne con carcinoma mammario (di tutti i sottotipi), ma anche in pazienti affetti da carcinoma papillare renale, carcinoma a cellule squamose della cervice e adenocarcinoma polmonare.

I risultati ottenuti, se confermati in studi clinici più ampi, potrebbero permettere di sviluppare nuovi marcatori prognostici e predittivi e di individuare bersagli terapeutici altamente specifici, con l’obiettivo di migliorare la vita delle persone malate di cancro.

Mutazioni BRCA
La strada dell’immunoterapia per combattere il tumore alla mammella, lo studio pubblicato su Science Advances. Foto di RyanMcGuire

 

Testo dall’Ufficio Stampa Rettorato Università degli Studi di Napoli Federico II.

ALL’UNIVERSITÀ DI TORINO 1,8 MILIONI DI EURO PER RIVOLUZIONARE LE TERAPIE TUMORALI ANTI-ANGIOGENESI DEL PROGETTO COOLISH

COOLISH, progetto di ricerca interdisciplinare del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e del Candiolo Cancer Institute-IRCCS-FPO, ha ottenuto un importante finanziamento di 1,8 milioni di euro dal Fondo Italiano per le Scienze Applicate (FISA), il programma del Ministero dello Sviluppo Economico istituito con la legge di bilancio 2022, che ha l’obiettivo di innalzare il livello di attrazione, competitività e innovazione dell’Italia, elevando la capacità di fare ricerca.

Il progetto COOLISH ha lo scopo di ottimizzare la scoperta di molecole bioattive in ambito oncologico attraverso il superamento degli attuali limiti presenti nelle colture cellulari bidimensionali e dei modelli tridimensionali, poco efficaci nel riprodurre il microambiente tumorale. L’obiettivo è sviluppare una piattaforma basata su organoidi vascolarizzati derivati da pazienti con tumori di difficile trattamento, come l’adenocarcinoma duttale pancreatico, il carcinoma polmonare non a piccole cellule e il melanoma metastatico, noti per essere refrattari o scarsamente responsivi alle attuali terapie anti-angiogeniche. Questa progetto consentirà di testare un’ampia libreria di molecole, già approvate alla sperimentazione umana dalle agenzie regolatorie, per identificare composti in grado di bloccare la crescita degli organoidi tumorali attraverso il blocco dell’angiogenesi, ossia il processo di formazione di formazione di nuovi vasi sanguigni.

“I farmaci anti-angiogenetici – spiega il Prof. Federico Bussolino, Direttore del laboratorio di Oncologia vascolare al Candiolo Cancer Institute – sono fondamentali nella lotta contro il cancro perché bloccano la formazione di nuovi vasi sanguigni, impedendo al tumore di crescere e diffondersi. Agiscono in modo mirato e possono essere combinati con altre terapie per aumentarne l’efficacia. Tuttavia le molecole anti-angiogenetiche attualmente disponibili non sono efficaci in tutti i tumori, che per altro richiedono la vascolarizzazione per la loro progressioneLa presenza di un team multidisciplinare supportato da un finanziamento importante quale FISA 2022 permetterà a COOLISH di effettuare nei prossimi quattro anni una Ricerca ad alto profilo diretta a innovare questi trattamenti, offrendo di riflesso nuove speranze ai pazienti”.

COOLISH è una piattaforma multidisciplinare sviluppata dal Prof. Federico Bussolino del Candiolo Cancer Institute-IRCCS-FPO, dal Prof. Luca Primo del Dipartimento di Oncologia, dalla Prof.ssa Laura Anfossi del Dipartimento di Chimica e del Prof. Marco L. Lolli del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco.

tumori infantili RNA
Foto di RyanMcGuire

 

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Progetto CO-TRANS-NET: farmaci sintetici personalizzati a base di RNA, giovane ricercatrice vince l’ERC Starting Grant

Sempre più vicina la possibilità di creare farmaci su misura del paziente oncologico e della sua malattia e garantire diagnosi ad personam, anche via smartphone

Progetto CO-TRANS-NET farmaci molecola RNA funzionale - crediti per l'immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata
molecola RNA funzionale – crediti per l’immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata

Roma, 5 settembre 2024 – Simona Ranallo, 37 anni, romana, attualmente ricercatrice presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche dell’Università di Roma Tor Vergata, si aggiudica – unica vincitrice Starting Grant nell’Ateneo – l’ERC Starting Grant 2024, il finanziamento di 1.5 milioni di euro che l’Europa elargisce alle migliori linee di ricerca ogni anno, per il progetto CO-TRANS-NET “Synthetic nucleic acid co-transcriptional networks as diagnostic and therapeutic tools”.

I suoi studi per la ricerca sul cancro l’hanno portata a interessarsi delle interazioni molecolari che avvengono all’interno della cellula e nel corpo umano.

“Ciò che maggiormente ha stimolato la mia curiosità – spiega Simona Ranallo – è sempre stato cercare di migliorare la diagnosi e il trattamento di diverse malattie, incluso il cancro, partendo dallo studio di come funziona la vita. Attraverso processi altamente controllati la cellula è in grado di leggere l’informazione contenuta nel nostro DNA e tradurla in molecole funzionali, quali RNA e proteine, che giocano ruoli chiave nella regolazione delle funzioni vitali e della salute”.

“Ed è proprio da questo concetto – sottolinea la ricercatrice – che nasce l’idea di CO-TRANS-NET (acronimo di Cotranscriptional networks): sviluppare sistemi basati su geni sintetici che, in risposta a specifici biomarcatori tumorali, sono in grado di produrre molecole di RNA funzionali che possono generare un segnale diagnostico o avere funzioni terapeutiche. In questo modo CO-TRANS-NET si pone l’obiettivo di generare una nuova classe di strumenti teranostici, che attraverso l’utilizzo delle nanotecnologie, integrano la diagnosi e la terapia in modo tale che possano essere ottenute simultaneamente”.

L’innovazione del progetto CO-TRANS-NET risiede quindi in una importante scoperta.

“La possibilità di produrre un farmaco a base di RNA in risposta alla presenza di specifici biomarcatori tumorali rappresenta la vera innovazione di CO-TRANS-NET. In questo modo si potrebbe pensare di produrre un farmaco “on demand” quando il livello di un biomarcatore supera il suo specifico range fisiologico, diventando quindi una sorta di allarme e rappresentando una possibilità di trattamento precoce. Si riuscirebbe così ad amministrare la dose di farmaco da somministrare in base alla necessità specifica di ogni singolo paziente, correlata allo stadio della sua malattia”.

La dottoressa Ranallo sottolinea anche le caratteristiche peculiari e la versatilità del progetto:

“CO-TRANS-NET oltre a garantire un monitoraggio costante e un trattamento terapeutico personalizzato rappresenta un innovativo strumento diagnostico in cui in tempi rapidi e senza necessità di apparecchiature di laboratorio ma utilizzando solamente uno smartphone si potrà misurare il livello di biomarcatori tumorali nel sangue dei pazienti con elevata precisione, proprio come il glucometro utilizzato dai pazienti diabetici. Le innovazioni proposte da CO-TRANS-NET in campo diagnostico e terapeutico rappresentano importanti progressi verso la medicina personalizzata e di precisione”.

Il progetto CO-TRANS-NET ha una durata di cinque anni e rientra nel 44% di Starting Grant 2024 vinti da ricercatrici, percentuale in costante aumento negli ultimi anni secondo quanto rivela lo European Research Council. Lo ERC Starting Grant, che per l’anno in corso ha potuto contare su un finanziamento di circa 780 milioni di euro complessivi, supporta giovani ricercatori e ricercatrici all’inizio della loro carriera nelle loro ricerche all’avanguardia.

Simona Ranallo
Simona Ranallo

Biografia

Simona Ranallo si laurea in chimica all’università di Roma Tor Vergata e qui ottiene il dottorato in Scienze chimiche portando avanti la sua ricerca nel Laboratorio di Chimica analitica del dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche. Durante il PhD è stata Visiting Researcher presso la University of California Santa Barbara e l’Université de Montréal.

Ha ottenuto finanziamenti post doc dalla Fondazione Umberto Veronesi per continuare la sua ricerca sul cancro e nel 2018 è risultata vincitrice di una Marie Skłodowska-Curie Post Doctoral Global Fellowship, finanziata dalla Comunità Europea. Grazie a questo finanziamento ha svolto due anni di ricerca presso la University of California Santa Barbara per poi tornare nell’ultimo anno di ricerca del finanziamento presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche di Roma Tor Vergata, dove attualmente lavora come ricercatrice nel gruppo di ricerca coordinato dal professor Francesco Ricci.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa Università di Roma Tor Vergata

Individuato un nuovo meccanismo molecolare alla base della leucemia linfoblastica acuta, una leucemia infantile ad alta incidenza: l’interazione tra proteine recettoriali mediata da microRNA porta a compromettere funzioni immunitarie del timo

Una ricerca internazionale coordinata dalla Sapienza ha reso possibile importanti avanzamenti nella comprensione dei processi alla base dello sviluppo della leucemia linfoblastica acuta: un’interazione tra proteine recettoriali mediata da microRNA conduce alla compromissione delle funzioni immunitarie della ghiandola del timo. Questa scoperta potrebbe portare in futuro a nuove tecniche di monitoraggio e a nuove terapie.

La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è un tumore ematologico aggressivo a rapida evoluzione che colpisce i linfociti T arrestandoli in una fase immatura. Tra le leucemie acute infantili, circa il 60% è rappresentato dalla LLA. Anomalie genetiche bloccano la differenziazione dei precursori delle cellule T nel timo, una ghiandola situata nel mediastino, davanti al cuore, e favoriscono una proliferazione cellulare anomala. Le cellule leucemiche in accumulo infiltrano poi il midollo osseo provocando la malattia.

Nel 60% dei pazienti con LLA-T si riscontrano mutazioni che portano ad un’iperattività del sistema di segnalazione Notch. La chemioterapia intensiva può curare molti dei pazienti, ma un’alta percentuale dei soggetti pediatrici e soprattutto adulti è poi soggetta a ricadute con prognosi sfavorevole. I recettori Notch possono infatti contribuire alla resistenza alla chemioterapia, rendendo necessaria la ricerca di nuovi approcci per contrastare il suo apporto alla progressione della LLA-T.

Un nuovo studio, condotto dal Dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Molecolare, e frutto di una rete di collaborazioni con altri enti di ricerca, offre importanti avanzamenti per la comprensione del meccanismo tumorale. I risultati della ricerca, di recentissima pubblicazione sulla rivista Oncogene, hanno dimostrato come la proteina Notch moduli i meccanismi epigenetici di regolazione del recettore CXCR4 attraverso l’interazione con particolari microRNA. In questo modo contribuisce al blocco dello sviluppo e della differenziazione delle cellule T e sovverte completamente le funzioni del timo inducendone una precoce involuzione.

Il risultato è stato ottenuto attraverso un modello transgenico per il gene Notch3, che ha permesso di verificare molte delle caratteristiche molecolari e cellulari della LLA T, e grazie all’impiego di molteplici tecniche avanzate di citofluorimetria e di analisi molecolare. I dati epigenetici sono stati confermati mediante l’utilizzo di modelli di xenotrapianto ottenuti utilizzando campioni di pazienti affetti da LLA T trapiantati in modelli sperimentali murini.

“Il lavoro conta, non solo fra i primi nomi, nostri giovani ricercatori in Italia ed all’estero, che con professionalità hanno condotto esperimenti complessi e fondamentali per questo studio, dimostrando passione ed entusiasmo per la ricerca scientifica. La specifica competenza fornita da ogni singolo autore e dai vari centri di ricerca coinvolti ha permesso la realizzazione di questo progetto”, precisa Maria Pia Felli, autrice dell’articolo.

In particolare oltre alla Sapienza hanno partecipato la Weill Cornell Medicine di New York, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Roma, l’Azienda Ospedaliera dei Colli Monaldi di Napoli, l’Università di Roma Tor Vergata, l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, l’Università di Padova e quella di Perugia.

I risultati ottenuti avanzano la conoscenza scientifica su questo tipo di tumore e suggeriscono questi microRNA come nuovi addizionali biomarker molecolari per il monitoraggio e, nel futuro, per avanzate strategie terapeutiche contro questa patologia.

Riferimenti bibliografici:

Notch3-regulated microRNAs impair CXCR4-dependent maturation of thymocytes allowing maintenance and progression of T-ALL – Ilaria Sergio, Claudia Varricchio, Sandesh Kumar Patel, Martina Del Gaizo, Eleonora Russo, Andrea Orlando, Giovanna Peruzzi, Francesca Ferrandino, Georgia Tsaouli, Sonia Coni, Daniele Peluso, Zein Mersini Besharat, Federica Campolo, Mary Anna Venneri, Donatella Del Bufalo, Silvia Lai, Stefano Indraccolo, Sonia Minuzzo, Roberta La Starza, Giovanni Bernardini, Isabella Screpanti, Antonio Francesco Campese, e Maria Pia Felli

Oncogene – DOI: 10.1038/s41388-024-03079-0

microscopio Progeria trattamento leucemia acuta linfoblastica Philadelphia-positiva
Foto di Konstantin Kolosov

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Un nuovo target terapeutico per il glioblastoma: descritto un nuovo meccanismo molecolare, responsabile della riprogrammazione metabolica dei macrofagi GLUT1+, che contribuisce all’inibizione della risposta immunitaria nel glioblastoma.

Uno studio internazionale, che ha visto la partecipazione di ricercatori della Sapienza Università di Roma, ha descritto un nuovo meccanismo molecolare che contribuisce all’inibizione della risposta immunitaria nel glioblastoma da parte di una specifica popolazione cellulare immunitaria, esasperando così l’aggressività di questo tumore. I risultati di questo studio, pubblicato sulla rivista Immunity, propongono nuovi bersagli cellulari e molecolari per il disegno di approcci terapeutici innovativi per il glioblastoma.

Il glioblastoma è la forma più aggressiva di tumore cerebrale nell’adulto e le opzioni terapeutiche oggi disponibili sono molto limitate. La marcata ipossia (mancanza di ossigeno) e l’immunosoppressione che caratterizzano il microambiente di questo tumore rendono inefficaci anche le più recenti strategie di immunoterapia.

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Immunity, frutto della collaborazione tra i ricercatori del Moffitt Cancer Center di Tampa in Florida, coordinati da Filippo Veglia, e i ricercatori del Dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza Università di Roma, coordinati da Aurelia Rughetti, ha identificato una sottopopolazione di cellule immunitarie, i macrofagi, caratterizzata da livelli elevati del recettore del glucosio (GLUT1) che mostrano una marcata capacità immunosoppressoria, in grado di inibire la risposta immunitaria e favorire la progressione del glioblastoma.

“Il nostro lavoro – spiega Aurelia Rughetti della Sapienza – ha evidenziato che l’attività immunosoppresssoria dei macrofagi GLUT1+ presenti nel tumore è regolata a livello epigenetico dalla lattilazione, che prevede l’aggiunta del lattato sui residui di lisina degli istoni. Questo meccanismo molecolare, recentemente descritto, sembra essere responsabile della riprogrammazione metabolica della popolazione macrofagica GLUT1+ che risulta così in grado di sopprimere i linfociti T anti-tumoraliˮ.

La caratterizzazione di questa popolazione cellulare immunosoppressoria e l’identificazione del meccanismo molecolare con cui i macrofagi sono riprogrammati nel tumore rappresentano nuovi potenziali target per lo sviluppo di  nuovi approcci terapeutici con cui rimuovere il blocco dell’immunosoppressione e poter così potenziare l’efficacia delle terapie immunologiche.

Al progetto hanno partecipato i dottorandi Alessio Ugolini, Fabio Scirocchi e Angelica Pace del Dottorato di Network Oncology and Precision Medicine coordinati da Aurelia Rughetti e Marianna Nuti del Dipartimento di Medicina Sperimentale e i clinici Luca D’Angelo e Antonio Santoro della UOC di Neurochirugia del Policlinico Universitario Umberto I.

Riferimenti bibliografici:

Glucose-driven histone lactylation promotes the immunosuppressive activity of monocyte-derived macrophages in glioblastoma – De Leo A, Ugolini A, Yu X, Scirocchi F, Scocozza D, Peixoto B, Pace A, D’Angelo L, Liu JKC, Etame AB, Rughetti A, Nuti M, Santoro A, Vogelbaum MA, Conejo-Garcia JR, Rodriguez PC, Veglia F. – Immunity 2024, DOI: 10.1016/j.immuni.2024.04.006.

Immagine istologica del glioblastoma macrofagi
Immagine istologica del glioblastoma. Foto di KGH, CC BY-SA 3.0

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma