News
Ad
Ad
Ad
Tag

animali

Browsing

IL CICLO MESTRUALE E LA LUNA: UNA SINCRONIZZAZIONE SEMPRE PIÙ RARA

L’Università di Padova partecipa allo studio internazionale che rivela la perdita della sincronia con la Luna a causa dell’inquinamento luminoso

 

Molte specie animali sincronizzano il loro comportamento riproduttivo con una determinata fase del ciclo lunare per aumentare il successo nella procreazione. Negli esseri umani, l’influenza della luna sul comportamento riproduttivo rimane controversa, sebbene il ciclo mestruale abbia un periodo molto prossimo a quello dei cicli lunari.

È già stato dimostrato come i cicli mestruali femminili si sincronizzino in maniera intermittente con i cicli di luminanza (che descrivono la quantità di luce lunare visibile nel corso del mese, che varia dalla luminanza minima del Novilunio alla luminanza massima del Plenilunio) e/o gravitazionali della luna (l’influenza gravitazionale della Luna sulla Terra che provoca le maree).

Con l’avanzare dell’età e l’esposizione alla luce artificiale notturna, i cicli mestruali tendono ad accorciarsi e la sincronia con la luna si perde. Nello studio appena pubblicato sulla rivista «Science Advances» e che vede tra gli autori Sara Montagnese e Alberto Ferlin, del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e Rodolfo Costa del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova, i ricercatori hanno dimostrato come i cicli mestruali di 176 donne che ne avessero registrato l’inizio per almeno due anni fossero sincronizzati con il ciclo lunare in modo molto evidente fino al 2010, anno dell’introduzione massiva di illuminazione a LED in Europa, che si è aggiunta all’utilizzo diffuso di smartphone.

Con l’aumento cospicuo dell’inquinamento luminoso, dal 2010 in poi, tale sincronizzazione si osserva prevalentemente nel mese di gennaio, quando le forze gravitazionali esercitate dal sistema Sole-Terra-Luna sono più forti. Di questo i ricercatori hanno trovato conferma anche analizzando l’andamento temporale di ricerche internet pertinenti (ad esempio “dolore mestruale”) con Google Trends, uno strumento che consente di valutare l’interesse nel tempo e in diverse regioni per specifici argomenti.

«Sembra quindi probabile che la crescente esposizione notturna alla luce artificiale interferisca con la sincronizzazione con i cicli lunari di luminanza – spiega Sara Montagnese –. Complessivamente, la sincronizzazione tra il ciclo mestruale femminile e i cicli lunari è quindi ridotta rispetto al passato e rimane rilevabile prevalentemente nei periodi in cui le forze gravitazionali nel sistema Sole-Terra-Luna sono più intense».

La luce artificiale non solo “oscura” la luce naturale della luna, ma tende anche ad accorciare la durata del ciclo mestruale, collegata all’età e alla fertilità femminile: i risultati appena pubblicati potrebbero avere implicazioni importanti non solo per la fisiologia e il comportamento, ma anche per la fertilità e soprattutto la nota riduzione della stessa nel mondo occidentale.

Sara Montagnese, autrice dello studio su ciclo mestruale e la luna, pubblicato su Science Advances
Sara Montagnese, autrice dello studio su ciclo mestruale e la luna, pubblicato su Science Advances

Riferimenti bibliografici:

Charlotte Helfrich-Förster et al., Synchronization of women’s menstruation with the Moon has decreased but remains detectable when gravitational pull is strong, Sci. Adv. 11, eadw4096 (2025), DOI: 10.1126/sciadv.adw4096

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

LA “DIETA” DEGLI ELEFANTI NANI DELLA SICILIA, PALAEOLOXODON FALCONERI E PALAEOLOXODON MNAIDRIENSIS

Il Palaeoloxodon falconeri e il Palaeoloxodon mnaidriensis erano pascolatori: la loro dieta era basata su un alto consumo di materiale erbaceo abrasivo. La scoperta dei ricercatori dell’Università di Padova e Saragozza grazie all’analisi dell’usura dentaria prodotta dal cibo consumato e rinvenuta sui reperti fossili conservati al Museo della Natura e dell’Uomo

Pubblicata su «Papers in Palaeontolgy» con il titolo “Feeding strategies of the Pleistocene insular dwarf elephants Palaeoloxodon falconeri and Palaeoloxodon mnaidriensis from Sicily (Italy)” la ricerca delle Università di Padova e Saragozza sulle abitudini alimentari degli elefanti nani della Sicilia, Palaeoloxodon falconeri e Palaeoloxodon mnaidriensis, vissuti nel Pleistocene Medio (tra gli 800 e i 100 mila anni fa). È la prima volta che viene fatta un’ipotesi sulla loro dieta grazie all’analisi, sui reperti presenti nella sezione di Geologia e Paleontologa del Museo della Natura e dell’Uomo (MNU) dell’Università di Padova, dell’usura dentaria prodotta dal cibo consumato dall’animale.

Gli elefanti nani in Sicilia nel Pleistocene Medio

Il MNU dell’Università di Padova custodisce numerosi resti di elefanti nani fossili della Sicilia, provenienti da quattro località del palermitano. Si tratta di due specie estinte, Palaeoloxodon falconeri e Palaeoloxodon mnaidriensis, che derivano da uno stesso antenato comune continentale, Palaeoloxodon antiquus, arrivato sull’isola a seguito di diversi episodi indipendenti di dispersione con successiva diminuzione della taglia corporea. Il Palaeoloxodon falconeri (800-400 mila anni fa) è la specie più piccola fino ad ora conosciuta, con una altezza al garrese di circa 1 m nei maschi adulti e 0,9 m nelle femmine; il Palaeoloxodon mnaidriensis (400-100 mila anni fa) è andato incontro ad una minor riduzione di taglia ma, con i suoi 1,8-2,0 m al garrese, è sostanzialmente alto la metà dell’antenato continentale che raggiungeva i 4 m di statura

Nel Pleistocene Medio la Sicilia era probabilmente frammentata in isole più piccole e la fauna a mammiferi era estremamente impoverita. Il Palaeoloxodon falconeri era l’unico mammifero di taglia medio-grande: non aveva altre specie con cui competere per il cibo e nemmeno predatori da cui difendersi, fattore questo, che ne ha consentito l’estrema riduzione di taglia. Al contrario il Palaeoloxodon mnaidriensis viveva in una Sicilia con dimensioni prossime alle attuali e coabitava con una fauna che comprendeva ippopotami, quattro grossi ruminanti e carnivori che ne giustificano una riduzione di taglia meno marcata.

ricostruzione dei due elefanti nani di Sicilia, Palaeoloxodon falconeri e Palaeoloxodon mnaidriensis
ricostruzione dei due elefanti nani di Sicilia, Palaeoloxodon falconeri e Palaeoloxodon mnaidriensis. Raffigurazione artistica © Simone Zoccante (2025)

Analisi dei denti e abitudini alimentari

I ricercatori si sono concentrati sull’usura dentaria prodotta dal cibo consumato dall’animale per ricostruirne la dieta. Gli studiosi si sono chiesti se gli animali prediligessero la vegetazione erbacea tendenzialmente più abrasiva (pascolatori) oppure più tenera e nutriente come foglie, frutti e germogli (brucatori) o ancora se avesse una dieta mista.

«In questo studio abbiamo condotto per la prima volta un’analisi della dieta delle due specie nane utilizzando due tecniche di analisi dell’usura dentaria: quella della microusura (microwear) e della mesousura (mesowear)», dice Marzia Breda del Centro di Ateneo per i Musei dell’Università di Padova. «Il risultato più interessante è la convergenza in termini di dieta dei due elefanti in risposta a diverse pressioni ecologiche».

Marzia Breda
Marzia Breda

L’analisi della microusura dentaria studia le tracce microscopiche che il cibo ingerito dall’animale durante gli ultimi pasti prima della morte lascia sulla superficie occlusale dello smalto dei denti. I mammiferi erbivori con una dieta costituita da materiale vegetale molto abrasivo (graminacee) presentano dei pattern composti da abbondanti striature prodotte durante la masticazione. L’analisi della mesousura dentaria studia invece come le abitudini alimentari modificano la superficie occlusale del dente durante un periodo di tempo relativamente lungo rispetto alla vita dell’animale stesso (mesi o anni). Negli elefanti, i cui denti sono costituiti da un insieme di lamelle allineate, questa analisi tiene conto del rilievo tra le creste di smalto e la dentina racchiusa al loro interno. L’angolo tra il fondo della “valle” di dentina e il rilievo delle creste di smalto che le delimitano si correlano con abitudini alimentari distinte: angoli chiusi indicano diete caratterizzate da maggior consumo di materiale vegetale tenero, mentre angoli più aperti si associano a una dieta più abrasiva che, con il tempo, “appiattisce” la superficie occlusale del dente.

«Per i piccoli denti, di Palaeoloxodon falconeri,siè dovuto procedere – aggiunge Breda – alla scansione 3D del dente con un microscopio e poi estrarre digitalmente gli angoli, mettendo a punto un nuovo protocollo di riferimento per studi futuri».

Strie di microusura in tre denti di Palaeoloxodon falconeri sopra e tre di Palaeoloxodon mnaidriensis sotto.
Strie di microusura in tre denti di Palaeoloxodon falconeri sopra e tre di Palaeoloxodon mnaidriensis sotto.

I risultati

Nonostante la riduzione/assenza di competitori per l’accesso alle limitate risorse vegetali che avrebbe potuto consentire quindi la selezione di materiale vegetale più tenero e digeribile, i risultati dimostrano, per entrambe le specie, un alto consumo di materiale abrasivo tipico di una dieta di tipo pascolatore.

«Nel caso di Palaeoloxodon mnaidriensis, probabilmente si trattava di un adattamento all’espansione delle zone a prateria avvenuto durante le fasi finali del Pleistocene Medio e di una spartizione delle nicchie ecologiche con gli altri mammiferi di taglia medio-grande presenti sull’isola», sottolinea Flavia Strani, Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Saragozza. «Per Palaeoloxodon falconeri si può invece ipotizzare che l’assenza della pressione predatoria abbia portato ad un aumento della popolazione e quindi ad un sovra sfruttamento delle risorse vegetali, di per sé già limitate in ambiente insulare, spingendo le piante a “difendersi” con l’aumento di deposizioni di silice amorfa nelle cellule vegetali e con una maggior lignificazione, da cui l’usura riscontrata nelle nostre analisi».

Flavia Strani
Flavia Strani

«Si tratta di un risultato estremamente importante – puntualizza Marzia Breda dell’Università di Padova – che dimostra ancora una volta come le isole siano dei veri e propri laboratori naturali dell’evoluzione, perché in esse l’isolamento geografico e le variate condizioni ecologiche – risorse limitate, pressione predatoria ridotta o assente, e competizione ridotta o assente – forniscono le condizioni ideali per osservare e comprendere processi evolutivi che, nel più ricco e vario ambiente continentale, vengono talvolta oscurati».

«Questo studio dimostra come il MNU non sia solo un moderno centro espositivo e didattico, ma anche un vivo laboratorio di ricerca», conclude Fabrizio Nestola, Presidente del Centro di Ateneo per i Musei e Direttore del Museo della Natura e dell’Uomo. «Si tratta ancora una volta di nuovi studi su vecchi esemplari, fossili che, nonostante facciano parte delle collezioni storiche, hanno ancora tanto da raccontare e mantengono quindi un alto valore scientifico. Il nostro compito è preservarli per le generazioni future».

Riferimenti bibliografici:

Flavia Strani, Simone Rebuffi, Manuela Gialanella, Daniel DeMiguel, Stefano Castelli, Mariagabriella Fornasiero, Gilberto Artioli, Gregorio Dal Sasso, Claudio Mazzoli, Giuseppe Fusco, Marzia Breda, Feeding strategies of the Pleistocene insular dwarf elephants Palaeoloxodon falconeri and Palaeoloxodon mnaidriensis from Sicily (Italy)” – «Papers in Palaeontology» 2025, DOI: https://doi.org/10.1002/spp2.70036

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

PISTE DA SCI E BIODIVERSITÀ: UNA RISORSA INATTESA PER GLI UCCELLI ALPINI

Uno studio del Bird Lab Torino scopre che, in primavera, le aree innevate artificialmente offrono occasioni di foraggiamento per alcune specie. Ma gli impatti ambientali restano una minaccia

Le piste da sci delle Alpi italiane, spesso al centro del dibattito per il loro impatto ambientale, potrebbero offrire un’insolita risorsa ecologica in primavera: aree di alimentazione per diverse specie di uccelli. È quanto emerge dallo studio “Spring snowmelt and mountain birds: foraging opportunities along ski-pistes”, appena pubblicato sulla rivista Bird Conservation International, condotto dal Bird Lab Torino e guidato dal dott. Riccardo Alba.

La ricerca, svolta nel comprensorio sciistico della Via Lattea, nei pressi di Sestriere (Alpi Cozie), ha documentato la presenza attiva di 17 specie di avifauna lungo le piste innevate. Gli uccelli sembrano prediligere i margini delle piste dove la neve si alterna al fango, creando microhabitat ricchi di invertebrati, proprio in un periodo critico dell’anno in cui le specie devono recuperare energie in vista della stagione riproduttiva.

Alpi Cozie

Il fenomeno è legato allo scioglimento ritardato della neve sulle piste rispetto agli habitat circostanti, dovuto sia al compattamento del manto nevoso sia all’utilizzo di neve artificiale. Una dinamica simile a quella delle chiazze di neve residua in natura, che offre opportunità alimentari in ambienti altrimenti ancora inospitali a fine inverno.

Ma lo studio mette anche in guardia: il bilancio ecologico complessivo dell’attività sciistica resta negativo. La costruzione e la gestione delle piste comportano alterazioni significative dell’ambiente alpino, dalla rimozione della vegetazione alla compattazione del suolo, fino all’impiego sempre più massiccio di neve artificiale, con impatti idrici e biologici ancora poco noti.

Alla luce dei cambiamenti climatici e del previsto calo delle nevicate naturali, gli autori sottolineano l’urgenza di integrare le dinamiche ecologiche legate alla neve e alla fauna nelle strategie di gestione del territorio montano. Promuovere un turismo più sostenibile e una pianificazione attenta agli equilibri ecologici diventa fondamentale per tutelare la biodiversità alpina, oggi sempre più sotto pressione.

uno spioncello (Anthus spinoletta)
Piste da sci e biodiversità: in primavera, le aree innevate artificialmente offrono occasioni di foraggiamento per alcune specie di uccelli sulle Alpi Cozie; lo studio pubblicato sulla rivista Bird Conservation International. In foto, uno spioncello (Anthus spinoletta)

Riferimenti bibliografici:

Alba R, Fragomeni A, Rosselli D, Chamberlain D, Spring snowmelt and mountain birds: foraging opportunities along ski-pistes, Bird Conservation International 2025;35:e23. doi:10.1017/S0959270925100130

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

L’1% DEGLI INVESTIMENTI NELL’EOLICO OFFSHORE POTREBBE RIPRISTINARE MILIONI DI ETTARI DI VITA MARINA – Team internazionale di ricercatori, tra cui Laura Airoldi dell’Università di Padova, ha pubblicato su «BioScience» uno studio che evidenzia i potenziali benefici dell’energia eolica per piante, animali e società

I parchi eolici offshore non solo forniscono energia pulita, ma possono anche svolgere un ruolo fondamentale nel ripristino degli ecosistemi vulnerabili, sia sopra che sotto la superficie del mare. Questo include habitat dei fondali marini, barriere coralline, praterie di fanerogame marine e zone umide costiere: ecosistemi essenziali per la biodiversità, le popolazioni ittiche e la resilienza climatica.

Contribuire con solo l’1% degli investimenti globali nei progetti eolici offshore entro il 2050 sarebbe sufficiente per il ripristino su larga scala della natura marina: a rivelarlo è lo studio internazionale dal titolo Financing marine restoration through offshore wind investments, pubblicato sulla rivista scientifica «BioScience» a cui ha preso parte Laura Airoldi, docente di Ecologia dell’Università di Padova nella Stazione idrobiologica “Umberto d’Ancona” di Chioggia (di cui è responsabile) e afferente al Centro Nazionale di Biodiversità finanziato dal PNRR.

La ricerca, coordinata dall’Istituto Reale Neerlandese per la Ricerca Marina (Royal Netherlands Institute for Sea Research, il centro oceanografico nazionale dei Paesi Bassi) nell’ambito del programma The Rich North Sea, un’iniziativa delle ONG olandesi Natuur & Milieu (Natura & Ambiente) e North Sea Foundation, arriva in un momento critico: gli obiettivi ambientali globali stanno diventando irraggiungibili – come quello dell’ONU di ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030 – a causa della mancanza di finanziamenti e di politiche mirate.

I ricercatori hanno evidenziato che sarebbe sufficiente destinare solo l’1% degli investimenti globali nell’eolico offshore da qui al 2050 per finanziare il ripristino di milioni di chilometri quadrati di ecosistemi marini, come barriere coralline, mangrovie, praterie sottomarine e scogliere di ostriche.

«Il ripristino degli ecosistemi marini non avvantaggia solo piante e animali, ma anche le persone. Mari e coste in buona salute assorbono carbonio, proteggono le rive e sostengono le popolazioni ittiche. Secondo lo studio, ogni dollaro investito nel ripristino degli ecosistemi può generare tra 2 e 12 dollari in benefici per la società», spiega Laura Airoldi, coautrice del lavoro e docente dell’Ateneo patavino. «Questo è particolarmente rilevante in vista della crescita esponenziale prevista del settore eolico offshore: dai 56 gigawatt del 2021 si passerà, secondo le stime, a 2.000 gigawatt entro il 2050».

«L’eolico offshore ha un’opportunità unica: non solo sostenere la transizione energetica, ma anche diventare la prima industria marina a contribuire in modo netto e positivo al ripristino su larga scala degli ecosistemi», aggiunge Christiaan van Sluis (The Rich North Sea), autore principale dello studio. «Integrando fin da ora requisiti strategici per la biodiversità nei processi di autorizzazione e assegnazione delle gare, possiamo invertire la perdita di biodiversità con solo una frazione dell’investimento complessivo».

Laura Airoldi
L’1% degli investimenti nell’eolico offshore potrebbe ripristinare milioni di ettari di vita marina; i benefici dell’energia eolica per piante, animali e società. In foto, Laura Airoldi

Con questo lavoro gli autori esortano i governi a rendere il ripristino marino un requisito standard nella normativa sull’eolico offshore: ciò includerebbe l’obbligo di destinare una percentuale fissa degli investimenti dei progetti alla biodiversità marina attraverso condizioni di licenza o criteri non basati sul prezzo nelle gare d’appalto. Con l’espansione accelerata del settore, il ripristino della natura dovrebbe essere integrato in modo strutturale nelle politiche.

Riferimenti bibliografici:

Christiaan J van Sluis, Eline van Onselen, Laura Airoldi, Carlos M Duarte, Helena F M W van Rijswick, Tjisse van der Heide, Renate A Olie, Marjolein Kelder, Tjeerd J Bouma, Financing marine restoration through offshore wind investments – «BioScience» – 2025, link: https://academic.oup.com/bioscience/advance-article/doi/10.1093/biosci/biaf092/8185302

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Un pipistrello africano tra i vicoli di Lampedusa: scoperta nuova specie per l’Europa, il miniottero del Maghreb

In un articolo pubblicato sulla rivista “Mammalian Biology”, un team di ricerca del CNR e NBFC ha documentato, per la prima volta in Europa, la presenza del “miniottero del Maghreb”, una specie di pipistrello finora considerata esclusiva del Nord Africa

Costa dell’isola di Lampedusa caratterizzata da bunker. Crediti per la foto: Fabrizio Gili
Costa dell’isola di Lampedusa caratterizzata da bunker. Crediti per la foto: Fabrizio Gili

Un team di ricerca che ha riunito due Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche – l’Istituto per la ricerca sulle acque di Verbania (CNR-IRSA) e l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri di Firenze (CNR-IRET) – e il Centro Nazionale per la Biodiversità (NBFC) ha documentato, per la prima volta in Europa, la presenza del miniottero del Maghreb (Miniopterus maghrebensis), una specie di pipistrello finora considerata esclusiva del Nord Africa.

La scoperta è descritta in un articolo pubblicato sulla rivista Mammalian Biology: lo studio è stato condotto sull’isola di Lampedusa, situata nello Stretto di Sicilia tra Europa e Africa, avamposto strategico per lo studio delle dinamiche biogeografiche. Proprio qui, il team ha condotto un’indagine approfondita sulla chirotterofauna locale (pipistrelli), combinando tecniche non invasive come il monitoraggio acustico automatico, l’ispezione di potenziali rifugi sotterranei e l’analisi genetica da campioni di guano. L’obiettivo era quello di chiarire la composizione faunistica di un’area finora poco studiata, ma potenzialmente di grande valore conservazionistico.

Le piccole isole, per loro natura, ospitano ecosistemi delicatissimi e vulnerabili a perturbazioni ambientali e climatiche anche minime. Inoltre, la crescente scarsità di risorse idriche legata ai cambiamenti climatici può rappresentare un fattore critico per la sopravvivenza dei chirotteri, che necessitano della presenza di fonti d’acqua per l’idratazione e la termoregolazione”, spiega Fabrizio Gili, ricercatore del CNR-IRSA che ha fatto parte del team di ricerca. “Per quanto attiene in particolare ai chirotteri, storicamente Lampedusa aveva restituito segnalazioni frammentarie di diverse specie, suggerendo una comunità potenzialmente ricca ma mai studiata in modo sistematico e approfondito. Tuttavia, l’aumento della pressione antropica, il turismo e i cambiamenti climatici in atto sollevavano dubbi sulla persistenza attuale di molte di queste specie, alcune delle quali oggi riconosciute come parte di complessi criptici o soggette a drastici declini su scala regionale”.

Nell’ottobre 2024, i ricercatori hanno esplorato l’isola, ispezionando cavità naturali e artificiali, tra cui molti bunker della Seconda guerra mondiale, spesso utilizzati dai pipistrelli come rifugi. L’indagine si è concentrata non solo sulla ricerca di animali, ma anche di tracce indirette della loro presenza, come guano e resti alimentari. E proprio da queste tracce è emersa la scoperta più significativa dello studio.

Bunker di Lampedusa. Crediti per la foto: Fabrizio Gili
Bunker di Lampedusa. Crediti per la foto: Fabrizio Gili

Le analisi genetiche, condotte nei laboratori del CNR-IRET di Firenze su escrementi raccolti presso il vecchio cimitero dell’isola, hanno confermato, per la prima volta in Europa, la presenza del miniottero del Maghreb (Miniopterus maghrebensis), specie finora nota solo in Marocco, Algeria e Tunisia. Un risultato che amplia i confini geografici della specie e presenta importanti implicazioni di conservazione.

Non si tratta solamente di aggiungere un nome ad un elenco”, precisa il ricercatore. “L’inclusione del miniottero del Maghreb tra le specie presenti in territorio europeo implica, infatti, l’estensione automatica delle misure di tutela previste, come quelle sancite dal Bat Agreement, trattato internazionale nato sotto la Convenzione di Bonn per promuovere la conservazione dei chirotteri e dei loro habitat. Il riconoscimento ufficiale del miniottero del Maghreb tra le specie europee porterebbe a 56 il numero di specie incluse nell’Accordo”.

Il miniottero del Maghreb (Miniopterus maghrebensis). Crediti per la foto: Jaro Schacht
Il miniottero del Maghreb (Miniopterus maghrebensis). Crediti per la foto: Jaro Schacht

Oltre al miniottero del Maghreb, lo studio ha documentato almeno altre sette specie sull’isola. Tra queste figurano l’orecchione di Gaisler (Plecotus gaisleri), finora noto in Europa solo per Malta e Pantelleria, e il ferro di cavallo di Mehely (Rhinolophus mehelyi), specie a distribuzione discontinua ristretta alla zona del Mediterraneo. Per entrambe, le sequenze genetiche identificate corrispondono a nuovi aplotipi mitocondriali endemici di Lampedusa, suggerendo un isolamento genetico rispetto ad altre popolazioni insulari o continentali.

Questo dato sottolinea il valore unico delle popolazioni di pipistrelli delle piccole isole, che rappresentano veri scrigni di diversità genetica e che pertanto necessitano di particolare attenzione conservazionistica. Come spesso accade in questi contesti, alcune delle componenti più preziose della biodiversità rischiano di scomparire prima ancora di essere comprese appieno”, conclude Gili.

Lo studio dimostra quanto siano ancora frammentarie le conoscenze sulla distribuzione della chirotterofauna europea, ed evidenzia la necessità di intensificare le ricerche sulla fauna delle isole minori del Mediterraneo, veri laboratori naturali per lo studio della biodiversità, e oggi più che mai ecosistemi da proteggere

Roma, 12 giugno 2025

La scheda

Chi: Istituto per la ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa), Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Iret), Centro Nazionale per la Biodiversità (NBFC)

Che cosa: Non-invasive survey techniques uncover the coexistence of African and European bats on the island of Lampedusa (https://doi.org/10.1007/s42991-025-00503-0)

Testo e foto dagli Uffici Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche – CNR e del Centro Nazionale per la Biodiversità – NBFC, via Delos.

AREE PROTETTE SOTTO PRESSIONE: IL CAMBIAMENTO CLIMATICO SPINGE GLI UCCELLI PIÙ IN ALTO, MA LA CONSERVAZIONE NON TIENE IL PASSO

Uno studio condotto dai ricercatori di UniTo nelle Alpi Cozie e Graie rivela che le specie adattate al freddo stanno scomparendo anche dove la natura è tutelata

Le montagne sono hotspot di biodiversità a livello globale, ma sono anche tra gli ambienti più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Nelle Alpi europee, il riscaldamento globale e le trasformazioni del paesaggio stanno rapidamente modificando la vegetazione, con effetti diretti sulle comunità di uccelli, in particolare su quelle di alta quota. Le aree protette rappresentano strumenti fondamentali per salvaguardare queste specie adattate al freddo, ma quanto sono realmente efficaci in un mondo che si riscalda?

A questa domanda hanno cercato di rispondere il dott. Riccardo Alba e il prof. Dan Chamberlain del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino nello studio Elevational shifts in bird communities reveal the limits of Alpine protected areas under climate change, recentemente pubblicato sulla rivista Biological Conservation. Coprendo un periodo temporale di 13 anni di dati raccolti lungo un ampio gradiente altitudinale nelle Alpi Cozie e Graie, i ricercatori hanno utilizzato il Community Temperature Index (CTI) – un indicatore della tolleranza termica delle comunità – per valutare l’evoluzione delle comunità ornitiche all’interno e all’esterno delle aree protette.

I risultati mostrano un dato sorprendente: mentre al di fuori delle aree protette il CTI è rimasto stabile, all’interno delle stesse è aumentato rapidamente, riflettendo un incremento delle temperature medie annuali di oltre 1,19 °C nel periodo di tempo coperto. Questo indica che qualcosa sta avvenendo all’interno delle aree protette alpine, dove le comunità ornitiche stanno diventando sempre più simili a quelle presenti in zone non tutelate, probabilmente a causa del declino delle specie di alta quota ma anche per la colonizzazione di specie più comuni dalle quote più basse, come ad esempio la capinera e lo scricciolo.

Le variazioni più marcate si osservano in prossimità del limite del bosco, una fascia sensibile dove la vegetazione arbustiva e forestale sta avanzando verso le alte quote a causa dell’abbandono delle attività pastorali e del cambiamento climatico. Gli autori individuano proprio il cambiamento della copertura vegetale come principale motore di trasformazione delle comunità, sottolineando come la semplice esistenza di aree protette dai confini stabili potrebbe non bastare più a garantire la sopravvivenza degli uccelli più specializzati alle quote estreme.

Per contrastare questi effetti, lo studio suggerisce misure gestionali adattive come il pascolo mirato e la conservazione della connettività altitudinale, oltre a un monitoraggio continuo delle comunità ornitiche negli anni a venire. Solo espandendo la protezione formale e integrando azioni concrete sul campo sarà possibile mantenere habitat eterogenei e resilienti, in grado di ospitare anche in futuro le specie simbolo delle Alpi evitando la loro scomparsa.

Parco naturale dei Laghi di Avigliana. Foto di Elio Pallard, CC BY-SA 4.0
Aree protette sotto pressione: il cambiamento climatico spinge gli uccelli più in alto, ma la conservazione non tiene il passo. Parco naturale dei Laghi di Avigliana. Foto di Elio Pallard, CC BY-SA 4.0

Riferimenti bibliografici:

Riccardo Alba, Dan Chamberlain, Elevational shifts in bird communities reveal the limits of Alpine protected areas under climate change, Biological Conservation Volume 309 2025, 111267, ISSN 0006-3207, DOI: https://doi.org/10.1016/j.biocon.2025.111267

 

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

UNDERDOGS, LA SERIE CON RYAN REYNOLDS IN VESTE DI NARRATORE,
NELLA VERSIONE ORIGINALE, DEBUTTERÀ IN ITALIA IL 16 GIUGNO 2025 IN ESCLUSIVA SU DISNEY+

RYAN REYNOLDS CELEBRA GLI EROI NON RICONOSCIUTI DELLA NATURA CON UN’ESPERIENZA DI STORIA NATURALE FUORI DAGLI SCHEMI 

Prodotta da Maximum Effort di Ryan Reynolds, premiata agli Emmy®, e da Wildstar Films, vincitrice di Emmy e BAFTA, UNDERDOGS svela come i reietti di madre natura abbiano alcune delle abilità di sopravvivenza più intelligenti

I Green Day firmano il nuovo brano “Underdog”, presente anche nel trailer

Disney+ Underdogs, la serie con Ryan Reynolds Key Art
la Key Art

30 maggio 2025 – Per 137 anni, National Geographic ha offerto immagini spettacolari di animali iconici: pinguini, elefanti, balene e molti altri. Questa volta, ha deciso di concentrarsi sugli sfavoriti del regno animale in UNDERDOGS, con Ryan Reynolds (@vancityreynolds) in veste di narratore nella versione originale. Mostrando talenti nascosti, scelte igieniche insolite e sgradevoli rituali di corteggiamento, UNDERDOGS celebra i comportamenti unici di animali che solitamente non sono sotto i riflettori. Prodotta dalla casa di produzione di Ryan Reynolds, Maximum Effort, premiata agli Emmy®, e da Wildstar Films (una società Freemantle), vincitrice di Emmy e BAFTA, UNDERDOGS di National Geographic debutterà in Italia il 16 giugno in esclusiva su Disney+.

Lavorare a UNDERDOGS con National Geographic è stato un sogno, soprattutto perché adesso ho la possibilità di guardare un nostro progetto con i miei figli. Tecnicamente hanno visto Deadpool & Wolverine, ma non credo abbiano colto molto mentre si coprivano occhi e orecchie, urlando per due ore” ha dichiarato Reynolds.  “Siamo così fieri di portare gli eroi non riconosciuti del mondo naturale in cima alla catena alimentare dell’intrattenimento, non vediamo l’ora che tutti possano guardarla”.

Ogni episodio della serie in cinque parti mostra un aspetto diverso delle bizzarre strategie di accoppiamento, dei sorprendenti superpoteri, dell’arte dell’inganno, delle discutibili abilità genitoriali e dei comportamenti più disgustosi di questi sfavoriti. UNDERDOGS presenta una serie di scene mai girate prima, tra cui il primo ingresso di una troupe cinematografica in una grotta speciale in Nuova Zelanda: un’enorme caverna che brilla più di un monolocale da scapolo sotto una lampada UV grazie ai posteriori luminescenti di milioni di larve ricoperte di muco. In tutto il mondo, superstar dimenticate come queste lavorano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, dando il massimo per mantenere in equilibrio l’ecosistema, anche per tutti gli squali, gli orsi e i gorilla che si prendono tutto il merito.

Con immagini straordinarie a cura dei direttori di fotografia naturalistica migliori al mondo e con le musiche del pluripremiato compositore Harry Gregson-Williams (ShrekSopravvissuto – The MartianIl Gladiatore II), UNDERDOGS è tagliente e ricca di curiosità. È l’inaspettato film di supereroi dell’estate che celebra gli strambi e gli sfavoriti, dando risalto a tecniche di sopravvivenza degne di nota, resilienza mentale e istinti eccezionali.

Underdogs (Original Series Soundtrack), la colonna sonora composta da Harry Gregson-Williams, sarà distribuita su Hollywood Records il 13 giugno e sarà disponibile su tutte le piattaforme musicali. Le superstar mondiali del rock, i Green Day (@greenday), hanno scritto il tema musicale della serie, presente nel trailer. La versione deluxe dell’ultimo album dei Green Day, Saviors, contiene sette nuove canzoni aggiunte, tra cui “Underdog”, la theme song di UNDERDOGS. “Saviors (édition de luxe)” è disponibile su tutte le piattaforme musicali.

EPISODI

“Superzeroes” (titolo originale)
Ryan Reynolds mette insieme una squadra di “Superzeroes”, animali a prima vista patetici ma dotati di sorprendenti superpoteri speciali. Meglio dimenticare la velocità dei ghepardi, la vista delle aquile o la forza bruta degli elefanti, perché qui si parla dell’invisibilità della rana di vetro, dell’indistruttibilità del tasso del miele e delle abilità del gambero pistola, in grado di produrre bolle calde quanto la superficie del sole.
“Terrible Parents” (titolo originale)
Ryan Reynolds svela le strategie educative altamente discutibili dei genitori peggiori del regno animale, gli sfavoriti. Dall’oca che depone uova in cima a una scogliera al koala che nutre il suo cucciolo con delle feci, non è chiaro se si tratti di genitori cattivi o semplicemente fraintesi. Non importa quanto pensiate di essere cattivi genitori: loro sono i peggiori.

“Sexy Beasts” (titolo originale)

Meglio dimenticare gli uccelli e le api, Ryan mostra i passi per trovare “quello giusto” tra gli sfavoriti. Dalla “prima attrazione” delle scimmie nasiche dotate di enormi appendici nasali, all’importanza degli “scudieri” nel corteggiamento dei tacchini, fino ai preliminari delle volpi volanti, questi animali hanno riscritto le regole delle relazioni caotiche e complicate.

“The Unusual Suspects” (titolo originale)

Ryan Reynolds punta i riflettori sugli sfavoriti che si fanno strada attraverso l’inganno. Dall’antennariida maestra del travestimento allo sciacallo che morde i posteriori, fino al bruco a più teste che si finge un’esca, questi sono maestri di inganno e astuzia. A guidarli c’è il più grande truffatore di tutti: un astuto macaco che si nutre del cibo dei turisti ignari.

“Total Grossout” (titolo originale)

Ryan offre la sua visione unica degli animali che usano tattiche disgustose per raggiungere i loro scopi, come difendere la casa, trovare un partner o sopravvivere. Nel cast ci sono lamantini che usano flatulenze per galleggiare e larve fungine delle grotte che creano bellissime trappole lucenti per le mosche con il muco illuminato dai loro sederi bioluminescenti.

UNDERDOGS
 è prodotta da Wildstar, una società Fremantle, in collaborazione con Maximum Effort per National Geographic. Mark Linfield, Vanessa Berlowitz e Dan Rees sono executive producer per Wildstar. Ryan Reynolds, George Dewey, Ashley Fox e Patrick Gooing sono executive producer per Maximum Effort; Sophia Travaglia e Molly Milstein sono produttrici. Polly Billam è la co-produttrice della serie e la sceneggiatrice. Tracy Rudolph Jackson è l’executive producer per National Geographic, Janet Han Vissering è la senior vice president of Production, Charlie Parsons è il senior vice president of Development, e Tom McDonald è l’executive vice president of Global Factual and Unscripted Content.

Hashtag
#Underdogs
#DisneyPlus

Testo, video e immagini dagli Uffici Stampa The Walt Disney Company Italia, Opinion Leader, Cristiana Caimmi.

Uno studio dell’Università di Pisa svela i segreti del volo degli stormi: le differenze individuali non si annullano nel gruppo

La ricerca pubblicata sulla rivista Animal Behaviour mostra come il carattere dei singoli individui influenzi la coesione dei gruppi di colombi durante il volo, anche quando minacciati da RobotFalcon, un predatore robotico usato per la simulazione, la sperimentazione nel laboratorio Arnino a San Piero a Grado (Pisa)

Fare fronte comune di fronte all’ignoto o al pericolo è tutta una questione di personalità, individuale. A rivelare i segreti del volo degli stormi è uno studio condotto dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, appena pubblicato sulla rivista Animal Behaviour. La ricerca che ha analizzato il comportamento collettivo di gruppi di colombi viaggiatori esposti a sfide e mincce, come quella di RobotFalcon, un predatore robotico usato per la sperimentazione. I risultati hanno mostrato che i tratti caratteriali individuali – come la reattività e l’audacia – influenzano in modo decisivo la capacità di un gruppo di rimanere coeso durante il volo.

Uno studio, pubblicato su Animal Behaviour, svela i segreti del volo degli stormi: le differenze individuali non si annullano nel gruppo. Gallery

I ricercatori hanno formato stormi omogenei per “personalità”: alcuni composti da colombi più reattivi, altri da individui meno pronti alla risposta. Dotati di GPS, gli uccelli sono stati seguiti in tre situazioni: il primo volo collettivo lontano dal nido, il ritorno da un sito sconosciuto e l’attacco simulato di un predatore robotico. Nei primi voli, i gruppi più reattivi hanno mantenuto una formazione più compatta, dimostrando un coordinamento superiore. La minaccia del RobotFalcon”, un finto falco pellegrino, ha invece disgregato tutti i gruppi, ma quelli meno reattivi si sono frammentati prima e in modo più marcato.

“Questo studio dimostra che le differenze individuali non si annullano nel gruppo, ma ne modellano le risposte collettive – afferma la dottoressa Giulia Cerritelli dell’Università di Pisa, prima autrice della ricerca – Comprendere questi meccanismi può aiutarci a interpretare meglio i comportamenti sociali degli animali e a sviluppare modelli più realistici di movimento collettivo”.

“Oltre al valore teorico, la ricerca potrebbe avere applicazioni pratiche, ad esempio nella progettazione di strategie per ridurre il rischio incidenti, ad esempio la collisione tra uccelli e aerei, noto come “bird strike, conclude il dottor Dimitri Giunchi dell’Ateneo pisano.

L’esperimento è stato condotto presso la stazione di Arnino dell’Ateneo pisano a San Piero a Grado (Pisa) nell’ambito del progetto PRIN2020 coordinato dal professore Claudio Carere (Università della Tuscia) con il coinvolgimento dell’Università di Pisa e di Milano.

Per l’Ateneo pisano hanno partecipato alla ricerca Giulia Cerritelli, Dimitri Giunchi, Lorenzo Vanni e Anna Gagliardo dell’Unità di Etologia del Dipartimento di Biologia dove da anni si studiano i meccanismi di orientamento  del colombo viaggiatore.

Riferimenti Bibliografici:

Giulia Cerritelli, Dimitri Giunchi, Robert Musters, Irene Vertua, Lorenzo Vanni, Diego Rubolini, Anna Gagliardo, Claudio Carere, Personality composition affects group cohesion of homing pigeons in response to novelty and predation threat, Animal Behaviour, Volume 223, 2025, 123122, ISSN 0003-3472, DOI: https://doi.org/10.1016/j.anbehav.2025.123122

 

Testo e foto dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

IN MARCIA COI LUPI (Marche avec les loups), film documentario per la regia di Jean-Michel Bertrand

Documentario, Francia, 2020 (88’)

AL CINEMA IL 16, 17 E 18 GIUGNO CON WANTED

In marcia coi lupi (Marche avec les loups), film documentario di Jean-Michel Bertrand poster
il poster

«Dopo essere scomparsi per quasi 80 anni e nonostante molti ostacoli, i lupi stanno riconquistando i loro antichi territori.»

Wanted Cinema è lieta di annunciare l’arrivo nei cinema italiani il 16, 17 e 18 giugno 2025 del documentario IN MARCIA COI LUPI (Marche avec les loups), un avventuroso racconto alla scoperta di una delle specie più affascinanti del pianeta. Dopo il successo de La vallée des loups (2017), il registra Jean-Michel Bertrand torna a girare a stretto contatto con i lupi, nel loro habitat naturale, per svelarci ancora una volta i loro più misteriosi segreti.

Con immagini mozzafiato – frutto di tre anni di riprese nel magnifico scenario delle Alpi Francesi fino ai confini della catena del Giura – che tracciano un profilo inedito di un animale sorprendente, IN MARCIA COI LUPI racconta di come, dopo essersi dispersi da quasi ottanta anni e nonostante gli ostacoli, i lupi siano in procinto di ritrovare i loro vecchi territori e indaga il grande mistero della dispersione dei lupi e il fenomeno per cui i giovani lupi lasciano il territorio in cui sono nati e come avventurieri vanno alla conquista di nuovi territori.

Per tre anni Jean-Michel Bertrand ha condotto un’indagine per cercare di capire il funzionamento complesso ed irregolare di questi giovani lupi nomadi e documentare dal vivo come riescano ad attraversare territori ostili già occupati dai loro simili e in cui non sono i benvenuti, o altri, più numerosi, ormai colonizzati dagli umani.

Durante gli anni trascorsi nella valle selvaggia, a contatto con il branco, ho potuto osservare come funzionano i grandi equilibri primordiali a cui sono soggetti gli animali selvatici, in particolare i grandi predatori. È urgente preservare questo mondo selvaggio nelle nostre società sempre più urbanizzate. Questa è una delle mie ossessioni – afferma il regista Jean-Michel Bertrand. Ho notato che il numero di lupi presenti in Francia è rimasto più o meno lo stesso di anno in anno. Questa regolazione è essenziale per la conservazione delle risorse alimentari, cioè delle prede da cui i lupi dipendono. È infatti la quantità di prede disponibili che regola il numero di predatori presenti in un territorio. Il lupo è territoriale, il che significa che il branco formato difende il suo territorio dagli intrusi e non può tollerare troppi individui nel suo territorio. Così i giovani lupi devono partire alla conquista di nuove aree. Sono loro che mi hanno dato l’opportunità di lasciare la valle selvaggia e, al loro seguito, di vivere una nuova avventura. Una nuova sfida, un’indagine complessa e affascinante tra natura selvaggia e civiltà devastante – conclude Bertrand.

IN MARCIA COI LUPI di Jean-Michel Bertrand offre una profonda riflessione sul rapporto dell’uomo contemporaneo con la natura selvaggia e sarà nei cinema il 16, 17 e 18 giugno 2025, distribuito da Wanted.

SINOSSI: IN MARCIA COI LUPI è un road movie che si svolge tra le valli selvagge e le aree urbanizzate delle Alpi Francesi, fino ad arrivare nel cuore della foresta del Giura. Per tre anni il regista Jean-Michel Bertrand ha condotto una vera e propria indagine per osservare il complesso e imprevedibile comportamento dei lupi nomadi. Sulle tracce dei lupi nomadi, IN MARCIA COI LUPI traccia il profilo inedito di un animale sorprendente e indaga il grande mistero della dispersione dei lupi e il fenomeno per cui i giovani lupi lasciano il territorio in cui sono nati e come avventurieri vanno alla conquista di nuovi territori, costretti ad attraversare territori ostili, già occupati da altri lupi che non li accolgono, o spazi ancor più antropizzati dominati dagli esseri umani mettendo a rischio la loro vita. Un viaggio accanto ai giovani lupi in libertà che offre un’immersione primitiva e filosofica nel cuore di una natura magica, sempre più fragile.


NOTE DI REGIA

Lasciare la valle…

Ho trascorso tre anni cercando di avvicinarmi a un branco di lupi selvatici in una valle remota delle Alpi. Questa avventura mi ha portato ben oltre quello che avevo immaginato… L’immersione nella natura e un modo molto rituale di operare nel territorio dove i lupi mi hanno permesso di penetrare. Dopo lunghi mesi di domande e dubbi, di preparazione e pazienza, sono riurscito ad essere tollerato dal branco. Ho potuto finalmente incontrare gli occhi del mitico predatore e persino vedere i cuccioli crescere. Ma alla fine di questo magnifico viaggio, è sorta la domanda sui limiti di questa intimità… Il lupo non ha solo ammiratori. Io sono un essere umano e l’animale braccato sa che non deve mai abbassare la guardia. Così, alla fine di questi tre anni straordinari, ho deciso di lasciare il territorio e di lasciarli stare…

Oggi, anche se penso di aver preso una decisione sensata, faccio molta fatica ad abbandonare questa ricerca di comprensione e di meraviglia, perché mi pongo ancora e mi vengono poste tante domande. I lupi mi hanno fatto crescere e ora mi rendo conto che l’incredibile avventura che ho potuto vivere al loro fianco non è affatto un culmine o una fine, ma al contrario, un inizio… L’inizio di un percorso, di un interrogarsi, di una ricerca naturalistica e filosofica che mi porterà ancora più vicino ai misteri del mondo selvaggio.

Quindi sì, devo lasciare la valle, ma ora so che mi aspetta un nuovo viaggio. Un viaggio che mi darà molte risposte a quelle domande. Questa opportunità mi è stata data dai lupi stessi.

I complessi meccanismi che regolano la vita sociale dei lupi e l’organizzazione del branco hanno suscitato la mia curiosità e mi hanno portato a ripartire al loro fianco, senza sapere dove e per quanto tempo. Una nuova immersione, una nuova ossessione e un nuovo respiro di libertà…

Oggi sono un po’ più preparato. Durante gli anni trascorsi nella valle selvaggia, a contatto con il branco, ho potuto osservare con i miei occhi come funzionano i grandi equilibri primordiali a cui sono soggetti gli animali selvatici, in particolare i grandi predatori. È urgente preservare questo mondo selvaggio nelle nostre società sempre più urbanizzate. Questa è una delle mie ossessioni.

So che il numero di lupi presenti in Francia è rimasto più o meno lo stesso di anno in anno. Questa regolazione è essenziale per la conservazione delle risorse alimentari, cioè delle prede da cui i lupi dipendono. È infatti la quantità di prede disponibili che regola il numero di predatori presenti in un territorio.

Il lupo è territoriale, il che significa che il branco formato difende il suo territorio dagli intrusi e non può tollerare troppi individui estranei. I giovani lupi dovranno partire alla conquista di nuove aree. Questi giovani lupi erranti sono conosciuti come lupi dispersi… Sono loro che mi daranno l’opportunità di lasciare la valle selvaggia e, al loro seguito, di vivere una nuova avventura. Una nuova sfida, un’indagine complessa e affascinante tra natura selvaggia e civiltà devastante.

Jean-Michel Bertrand

 

Testi, video e immagini dall’Ufficio Stampa Echo Group. Aggiornato il 5 giugno 2025.

Litigare o fare pace? Le scimmie gelada lo capiscono solo ascoltando

Uno studio coordinato dall’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista PLoS ONE dimostra che queste scimmie hanno una capacità di “ascolto” orientata alla comprensione delle relazioni sociali nel gruppo.

I gelada, primati che vivono sugli altopiani dell’Etiopia, sono capaci di riconoscere e interpretare le interazioni vocali dei propri simili collegando i versi a dinamiche sociali di conflitto o riconciliazione, anche senza vedere la scena, solo dal suono. È questo quanto emerso da una ricerca internazionale pubblicata sulla rivista PLoS ONE, coordinata dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Rennes e l’Università di Addis Abeba.

Durante gli esperimenti, condotti sul campo, i ricercatori hanno fatto ascoltare ai gelada vocalizzazioni aggressive seguite da altre consolatorie (sequenza naturale), e poi l’opposto (sequenza anomala). Le scimmie mostravano maggiore attenzione – misurata dalla durata dello sguardo verso la fonte del suono e dall’interruzione di ciò che stavano facendo – nei confronti dello stimolo “anomalo”, ovvero quando le vocalizzazioni consolatorie precedevano l’urlo dell’aggressione.

Secondo i ricercatori, questo comportamento indica che i gelada non percepiscono i segnali acustici come semplici eventi isolati, ma li interpretano come risultato di interazioni sociali legate alla risoluzione dei conflitti e al conforto. In altre parole, la loro capacità di “ascolto” implica un’elaborazione cognitiva, orientata alla comprensione delle relazioni sociali nel gruppo.

“I nostri risultati suggeriscono che i gelada possiedono una forma di intelligenza sociale che si manifesta anche attraverso l’ascolto degli altri – spiega Elisabetta Palagi, professoressa associata al Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e responsabile del progetto – Sono in grado, attraverso la percezione e la decodifica delle sequenze vocali, di comprendere, interpretare e reagire alle dinamiche sociali in modo appropriato anche senza avere davanti la scena di ciò che sta accadendo. Un’abilità che getta luce sulle basi evolutive delle nostre stesse capacità empatiche”.

Litigare o fare pace? Le scimmie gelada lo capiscono solo ascoltando. Gallery

Lo studio, durato 15 mesi, è stato finanziato dalla Leakey Foundation attraverso il progetto “Science for reconciliation” e da numerosi zoo e fondazioni europee nell’ambito del progetto BRIDGES dell’Università di Pisa. In particolare, per l’Università di Pisa, hanno partecipato allo studio Luca Pedruzzi, dottorando in cotutela con l’Università Rennes, che si occupa dei comportamenti a base empatica e alla complessità comunicativa in diverse specie di primati. Martina Francesconi e Alice Galotti, dottorande presso il Dipartimento di Biologia, che studiano il comportamento sociale in diverse specie animali. Infine, Elisabetta Palagi, professoressa associata al Dipartimento di Biologiada anni impegnata a far luce sul comportamento sociale in varie specie animali, uomo incluso, in particolare la comprensione dell’evoluzione di alcuni comportamenti come il gioco, i meccanismi di risoluzione dei conflitti e le capacità empatiche alla base della vita sociale. Nel 2020, Palagi ha ricevuto il premio dall’Animal Behavior Society per i risultati conseguiti grazie ai suoi studi sul comportamento animale.

Riferimenti bibliografici:

Pedruzzi L, Francesconi M, Galotti A, Bogale BA, Palagi E, Lemasson A, Wild gelada monkeys detect emotional and prosocial cues in vocal exchanges during aggression, PLoS ONE (2025) 20(5): e0323295, DOI: https://doi.org/10.1371/journal.pone.0323295

 

Testo e immagini dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa